La nota pubblicità televisiva anti evasione che ritrae il“parassita della società” si conclude con un’immagine maschile ben precisa: barba incolta, basettoni alla Elvis, camicia sbottonata, senza colletto, e sguardo poco raccomandabile. La scelta del messaggio e della comunicazione – soprattutto visiva – non è casuale ed è bene rammentare che lo spot venne commissionato dal precedente Governo. Sullo schermo, poi, sfilano le fotografie di una serie di batteri (raccapriccianti nella forma) definiti quali “parassiti” di alcuni animali. Viene così data una rappresentazione del fenomeno evasione (i batteri) e degli evasori (l’ultimo fotogramma del soggetto) di anormalità, se non estraneità, al tessuto sociale. Un qualcosa ed un qualcuno diverso e non omogeneo alla società; in altri termini: alieno se non mostruoso. In effetti è assai improbabile avere occasione di incontrare per strada persone somiglianti, anche solo per look ed immagine, all’attore dello spot. Certamente il rapporto tra cultura, legalità ed evasione è sempre stato complesso e giocato su una serie di equivoci ed ambiguità che hanno, inevitabilmente, distorto il significato di “devianza” e di rottura della regola di convivenza che dovrebbe invece essere associata al comportamento di chi evade o elude le tasse. Non si tratta del solo comune sentire secondo il quale l’evasore è un furbo: l’argomento è molto più profondo. Come se fosse stata cucita nel DNA del tessuto sociale un’impronta culturale che non consente, nemmeno al singolo, di apprezzarne il reale disvalore. Il professionista e l’imprenditore che sottraggono anche solo una piccola parte dei loro utili al fisco e pure l’operaio o l’impiegato (costretti al lavoro nero) sono addirittura “assolti” o giustificati dall’opinione pubblica. Analoga sorte non spetta al borseggiatore, ad esempio, per il quale si reclama ad alta voce severità e certezza della pena. Molti provano anche senso di disagio o imbarazzo – seppure consapevoli della violazione – a richiedere la ricevuta, la fattura o lo scontrino fiscale. Per rendersi conto quanto sia vero questo atteggiamento psicologico e, quindi, quanto sia esteso (e tollerato) il fenomeno dell’evasione è sufficiente visitare il sito http://evasori.info che raccoglie le segnalazioni degli utenti, anche per piccole somme, riguardanti il mancato rilascio di ricevute o scontrini fiscali. I segnalatori ed i segnalati rimangono anonimi, ad eccezione di una generica individuazione per provincia o città di competenza. Ciascuna comunicazione viene riportata in tempo reale su una mappa dell’Italia ove viene “taggata” la somma evasa (ad esempio un omesso scontrino per una consumazione) e la provincia o la città ove l’episodio si è verificato. E’ assai impressionante constatare il continuo e ininterrotto fluire delle segnalazioni che nell’ambito di una sola giornata raggiungono somme complessivamente molto elevate. I responsabili del sito così giustificano la scelta dell’anonimato per chi denuncia e per chi è denunciato: “Gli utenti possono segnalare la categoria di evasione, ma non informazioni specifiche che possano servire ad identificare l’evasore. L’anonimato è essenziale per eliminare incentivi all’abuso, per esempio l’uso di segnalazioni fasulle a scopo di diffamazione. Per assicurare che sia impossibile risalire all’identità degli evasori anche nei piccoli comuni, tutti i dati sono aggregati in zone geografiche”. Viene poi precisato: “Per chi voglia far seguito alla segnalazione anonima con un esposto ufficiale, identificando l’evasore ma anche fornendo le proprie generalità, può rivolgersi al 117 della Guardia di Finanza, chiamando dal posto dell’evasione. Evasori.info fornisce anche un modulo pronto per essere stampato e portato ad un comando provinciale della GdF”. Il maggior numero di segnalazioni riguarda esercizi commerciali e servizi per la persona, seguiti damedici, avvocati e professionisti. Naturalmente questo non fornisce alcun dato effettivo e reale sul fenomeno e tanto meno è possibile costruire una mappa territoriale degli evasori e dell’evasione. Ma l’esperimento, come ogni ricerca empirica, fornisce elementi di riflessione. Il corretto fluire dei dati è assicurato dall’anonimato. Evidentemente un diverso presupposto di indagine renderebbe del tutto inattendibili i dati. Questo non solo per fenomeni di diffamazione – come osservato dai responsabili del sito – ma perché sarebbero davvero poche le persone disposte a segnalare un fatto di evasione anche minimo nell’entità della somma sottratta all’erario. Non c’è il coraggio di richiedere la ricevuta, ma “se nessuno sa come risalire al nominativo” qualcuno si rende disponibile alla comunicazione in rete. Se venisse introdotta una legge di abrogazione della ritenuta di acconto sugli stipendi e sui salari (così che il dipendente dovesse dichiarare il proprio reddito e pagare direttamente le imposte) il fenomeno dell’evasione aumenterebbe in misura geometrica. Gli accertamenti eseguiti di recente a Portofino e, prima ancora, a Cortina non hanno scatenato sentimenti di approvazione nella maggior parte della popolazione, quanto reazioni di soddisfazione “vendicativa”: chi non può evadere lamenta di non poterlo fare a dispetto di coloro che ne hanno invece l’opportunità. Nell’immaginario collettivo vi è poi la rappresentazione dell’evasore come di colui che sottrae milioni di euro al fisco, ha lo yacht e conduce una vita da Vip. Mentre nessuno riflette – o è indotto a riflettere – sul fatto che è sufficiente non dichiarare al fisco ricavi per 60.000,00 euro annui per avere un lucro illecito di circa 30.000,00 euro ogni anno. Ciò che consente di avere un auto di grossa cilindrata, permettersi una vacanza alle Maldive, trascorrere un fine settimana a Cortina, regalare alla moglie la pelliccia o il diamante e condurre una vita agiata Per non dichiarare 60.000 euro di ricavi è poi sufficiente che un ristoratore ometta una ricevuta per 300 giorni in un anno per un pranzo od una cena di sei persone. L’esempio non è finalizzato a criminalizzare la categoria dei ristoratori (qualsiasi generalizzazione è espressione di un errore e di una ingiustizia), ma semplicemente ad una più consapevole comprensione di quanto l’evasione sia una realtà molto meno distante di quanto si immagini. Ciò che dovrebbe indurre politici, intellettuali e più in generali le classi dirigenti a riflettere sul concetto e sul significato di legalità. Una riforma del sistema vigente – anche in una prospettiva più efficacemente sanzionatoria – non può prescindere dallo sviluppo di una nuova cultura e del senso etico della responsabilità del singolo verso gli altri consociati. L’adempimento dei doveri civici deve trovare espressione, innanzitutto, nella scuola e davvero costituire il DNA di una diversa società. Fonte: http://www.agoravox.it