Non ci riferiamo al giudizio processuale che ne può derivare: quello è un’altra storia. Ci riferiamo al giudizio sociale, a quello che tutti ci troviamo ad esprimere di fronte a qualcuno accusato di aver fatto qualcosa che si ritiene sbagliata. Il nostro giudizio, in realtà, si fonda sull’unica cosa che riusciamo realmente a comprendere: il comportamento dell’ “imputato”. Dal suo comportamento riteniamo di poter sapere come egli effettivamente si senta: colpevole o innocente. E questo va al di là di come siano andate effettivamente le cose. Dal punto di vista soggettivo, questa sensazione dipende da come si viene giudicati dagli altri in cui tendenzialmente ci si specchia, e spesso porta all’auto-convincimento. Facciamo un esempio. Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita, di essere accusati ingiustamente e di non riuscire realmente a scagionarsi in quanto fin troppo impegnati a cercare di trasmettere la nostra innocenza. In questo caso, poiché guardati come colpevoli, si mettono in atto gli stessi comportamenti di una persona che è realmente colpevole e che sta cercando di scagionarsi. Perché in realtà il problema non è come davvero si è, ma è come si viene guardati che fa la differenza, e ciò se ci riflettiamo vale anche negli altri ambiti di vita. Basterebbe questo per capire dove sia il più grande limite delle famose, o famigerate, macchine della verità tanto in voga in America, anche queste infatti non colgono la reale colpevolezza o innocenza, ma come la persona si sente, o meglio come la persona sente di essere guardata. Così come ci si convince della colpevolezza laddove questa sia solo esternamente supposta, allo stesso modo ci si convince della propria innocenza lì dove questa sia talmente ben rappresentata da provocare sguardi benevoli. E’ anche vero che viviamo in una società nella quale sono già scritti i comportamenti che bisogna avere in ogni ruolo. Una persona che per qualche arcana colpa si trovi nel ruolo di colui che deve giustificare il suo essere accusato riesce a immedesimarsi bene in questa rappresentazione, in quanto saprà già cosa mettere in scena e cosa dire per rimanere in questo ruolo di innocenza: saprà comunque quali sono i comportamenti da mettere in atto che questa società richiede a persone innocenti (è forse per questo che più la società accusante è distante, più difficoltà di reale comprensione dei fatti si avrà tra le parti). Le persone che si trovano in questo ruolo, realmente innocenti o meno, saranno anche osservatrici di se stesse nell’esecuzione di questo copione, dove copione non sta per finzione, ma propriamente per ruolo (il termine deriva dal latino rotulus che vuol dire appunto copione). Osservandosi, si compiaceranno dei comportamenti più realistici, o meglio più consoni al loro ruolo, e potranno correggere quei comportamenti che da osservatori non troveranno convincenti. Con questo meccanismo di compiacimento e continua correzione, una persona realmente colpevole, ma che sia piacevolmente impressionata da come sta portando in scena il suo copione può arrivare ad auto-convincersi di essere innocente, perché ad ogni interpretazione si sentirà sempre più tale. Osservandosi nel rappresentare in modo convincente un innocente si incomincia a vedersi davvero come tale, quindi si può riuscire a convincere anche il pubblico della “sentita” innocenza. L’innocente si crede colpevole mentre può accadere che una persona realmente innocente, non soddisfatta della sua interpretazione di persona innocente, rimandi al pubblico segnali di colpevolezza. Ecco qui il caso forse più interessante, in cui la persona sia davvero innocente, ma si comporti come se non lo fosse perché si sente nella stessa situazione di un colpevole che vuole dimostrare la sua innocenza. Si vergognerà anche di ciò che ha fatto in buone fede perché il contesto della sua rappresentazione ha dato spazio al formarsi di cattive impressioni. Nel provare questa vergogna ingiustificata l’individuo può sentirsi smascherato nei propri sentimenti, e quindi pensare che questa sua sensazione di smascheramento lo faccia apparire realmente colpevole; a questo punto l’individuo può peggiorare la sua posizione mettendo in atto quelle manovre difensive che userebbe una persona realmente colpevole. In questo modo è possibile che ci si carichi di colpe inesistenti per giustificare il proprio sentirsi colpevole. Le conseguenze non dovrebbero essere sottovalutate. Il colpevole si presenta come il perfetto innocente. Una persona che si comporta come se fosse perfettamente innocente anche se tutti la reputano colpevole, è molto probabile che sia realmente colpevole, in quanto non è concentrata a difendere la sua innocenza, ma è impegnata a non far trapelare la sua colpevolezza: è questo che rende diverso il suo atteggiamento, rendendolo addirittura impeccabile. Siamo soliti a non giudicare la reale innocenza o colpevolezza di una persona, ma se secondo noi sia autorizzata o meno a mettere in scena un determinato copione. Quindi con questo articolo non si vuole ancora sentenziare sui fatti di cronaca degli ultimi anni, ma si vuole semplicemente dare alla platea di questi tetri teatrini una ulteriore chiave di lettura, che forse potrà creare maggiori dubbi sulla scelta della sentenza, ma è giusto che sia così, perché decidere se una persona sia davvero colpevole o innocente è una questione delicatissima. tratto da www.goleminformazione.it