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E SE ‘L SIE COME L’IRA ME’ SARES GNA MARIDADA E L’AMUR LA M’HA INGANADA

Francesca era stata allevata in un piccolo paese da una di quelle famiglie che vivono chiuse nel loro guscio e sembrano sempre lontane da tutto fuorchè dalla chiesa e dall’oratorio. Non si rendono conto che le mode cambiano perché loro ad occhi chiusi seguono sempre le usanze tradizionali. E se accade qualcosa di eccezionale in paese, come la notizia della separazione di due coniugi ancora giovani, lo scandalo si ferma sulla porta di casa. Solo il padre e la madre si troveranno a dire, ma sottovoce perché anche i muri hanno le orecchie, “hai sentito cos’è successo nella famiglia dei vicini Bonfanti? E’ spaventoso! Siamo su una brutta strada!”. I figli non sospettano niente e giungono all’età in cui tocca poi a loro vivere con una benda sugli occhi senza conoscere in che mondo si vive, dove c’è gente che non pensa come parla e non parla come agisce. Dove, se vuoi campare, devi vivere in guerra con tutti o almeno in pace armata perché si viene ingannati di continuo quando si è ingenui, beffati quando si è sinceri e maltrattati quando si è buoni. Ogni anno, in occasione della festa più grande, arriva in paese la famiglia Polini che da tempo si era trasferita a Milano per motivi di lavoro. Erano i genitori con il figlio Giulio di ventisei anni. E così anche questa volta, come vuole il destino, i due giovani: Francesca e Giulio s’incontrano e fu amore a prima vista. Francesca vedeva in Giulio l’uomo che aveva sognato, cresciuto in una grande città. Il suo parlare in dialetto milanese frammisto a qualche parola d’italiano lo pensava vicino ad uomini famosi i nomi dei quali comparivano sui giornali come le stelle nel cielo. E si immaginava la loro vita frenetica con voluttuose orge all’antica e raffinatezze sessuali così complicate che neanche immaginava. Confrontava il suo paese con Milano: i Navigli, via Montenapo, i Nigth-clubs, il Duomo, Porta Romana bella! Porta Romana! E lo vedeva come un vortice dalle umane passioni e certamente tutta la grande città le nascondeva grandi misteri d’amore e gioia di vivere! E la sua paura era proprio quella di diventare vecchia senza aver conosciuto niente della vita tranne le monotone faccende di casa che, dicono in paese, compongono la felicità domestica. Si chiedeva se sarebbe morta senza aver conosciuto le colpevoli ebbrezze, senza essersi gettata una volta sola, ma tutta intera, nelle notti calde di una grande città. Dal giorno del loro primo incontro Giulio tornava spesso al paese per incontrare Francesca che chiamava Fru-Fru. Scambiarsi galanterie. Andavano a passeggiare loro due soli tra i boschi, lungo il fiume, attraverso i prati dove l’erba era tutta frammista a piccoli fiori di campo. Aspettavano che giungesse il momento stabilito per la loro unione racchiusi in un delizioso affetto, assaporando la gioia delle carezze e delle strette di mano, degli sguardi languidi così prolungati che le anime sembrano fondersi. Non era nelle loro intenzioni ma per far contenti i genitori si sposarono in chiesa a Settembre, il mese più bello dell’anno, ed andarono ad abitare a Milano dove Giulio era impiegato in una ditta di trasporti. Francesca diventò una provinciale di Milano. Ignorò la grande città, la società elegante, i piaceri, le usanze, la vita e i misteri del tutto diversi da quelli del suo paese. Imparò a sue spese la differenza: quello che qui è nella norma, al paese è peccato mortale e quindi “Inferno!” e quindi: “Lasciate ogni speranza voi che entrate!”. Il marito Giulio, che aveva più volte sostenuto che il matrimonio è la tomba dell’amore, viveva a modo suo, rincasava quando gli pareva, qualche volta all’alba, col pretesto del suo lavoro, sicuro che nessun sospetto avrebbe sfiorato quell’anima candida e sincera di Fru-Fru. Un giorno che il marito dimenticò a casa il cellulare, al primo squillo rispose lei, Francesca, e dall’altra parte: “Amado mio!” “Ma con chi parlo?!” E la linea subito interrotta. Francesca allibì. Le gambe le tremavano. Era troppo onesta per capire l’infamia. E pensò subito come avere la prova sicura dell’infedeltà di Giulio. La domenica successiva andò sola al paese dove un suo zio gestiva un negozio di elettrodomestici e gli chiese di spiegarle i segreti per le intercettazioni telefoniche. “E’ semplice: con questo telefonino. Lo facciamo registrare col numero di cellulare di tuo marito. Compri una scheda e il gioco è fatto”. Dopo pochi giorni, era certa: Giulio aveva un’amante presso la quale trascorreva le sue serate. S’informò: era una giovane vedova, avvenente ed abitante in centro. Non seppe fingere, né spiare, né giocare d’astuzia ed aveva paura a prendere una decisione. Di notte si svegliava e per un attimo non riconosceva più chi le dormiva accanto. Era crollato il castello dei suoi sogni e delle sue speranze! “Ma chi è quest’uomo a cui sto concedendo il mio amore, le mie premure, le mie speranze, tutti questi giorni e tutto il mio futuro? E’ l’uomo della mia vita o è un mostro da tenere?! E che cos’ha questa vedova che io non ho?!”. E faticava a riprender sonno. Un giorno sono stati più forti di lei l’angoscia e lo sconforto. Quando Giulio tornò gli gettò ai piedi il telefono: “Questo m’ha detto tutto! Tu e la tua vedova allegra! Mi fate pena!”. E piangendo corse in camera sua. Da quel giorno vivevano separati in casa. Come una fatalità l’amante di Giulio fu coinvolta in un grave incidente stradale e lui la pianse senza finzioni, indifferente al suo rapporto con la moglie che non gli rivolgeva più la parola, non lo guardava più. Viveva solitaria in camera sua rinchiusa nel disgusto e nel rimpianto. La vita continuava, dura per entrambi. Per quasi un anno rimasero estranei uno all’altra come se non si fossero mai conosciuti. Per poco Francesca non impazzì. Poi una mattina uscì e rincasò con un mazzo di rose bianche, poi disse a Giulio: “Usciremo insieme se sei d’accordo”. Ed era in attesa un taxi che li portò fino al cancello del cimitero. Allora Francesca, con le lacrime agli occhi: “Accompagnami alla sua tomba”. Egli tremava senza capire e si incamminò tenendo i fiori tra le braccia. Si fermò davanti ad una lapide bianca indicandola in silenzio. Francesca gli levò il mazzo di rose e, inginocchiatasi, lo depose sulla tomba. Poi, tra le lacrime, si chiuse in preghiera. In piedi, dietro di lei, il marito in balia dei ricordi, piangeva. Fru-Fru si rialzò, gli tese le mani: “Se vuoi saremo amici!”

Giuseppe Paganessi

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