Ricordo la mia fanciullezza, spensierata e libera. E i giochi da bambini, non dentro i recinti di un parco giochi, in strutture obbligate e pensate, ma nella libertà dei vicoli di paese, in cortili assolati, nei grandi prati e sui sentieri erbosi che portavano dentro il bosco, dal quale imparavamo i profumi delle stagioni e i doni della natura.
Le giornate erano intense e vivaci, cariche di gioia di vivere, piene di speranza e sogno.
La mia casa era una grande culla nella quale venivo coccolata e custodita, dentro la quale portavo la gioia e la forza della mia gioventù e ricevevo la dolce premura dei miei genitori e l’accondiscendenza un po’ ruvida degli anziani.
Le loro vite si dedicavano interamente a noi bambini, al nostro nutrimento, al nostro ascolto, alla nostra felicità. Eravamo il fine ultimo delle loro azioni, la consolazione nelle giornate più faticose, i volti ai quali sorridere benevoli quando seduti sulle panche di sasso del cortile riposavano nei tramonti caldi dell’estate, rimirandoci, tra le chiacchiere leggere. Durante l’estate fuggivamo dal fermento del paese per rifugiarci lungo le sponde del torrente a mangiare pane, risate e cioccolato, per poi immergerci nell’acqua gelida delle sue pozze buie e profonde, nelle quali fantasticavamo di tesori. Sapevamo che dovevamo a Dio le preghiere quotidiane e la messa domenicale, che era peccato non andare a catechismo e rispondere male al nostro prossimo e che dovevamo onorare i nostri genitori e i vecchi. Oggi ripenso con nostalgia a quella fede vera, profonda, disinteressata, carica di spensieratezza e gioia.
Oggi, che l’esperienza ha reso tutto sospettabile e l’abitudine ha tolto il sapore dell’attesa, pagherei per il fermento della notte di S.Lucia fra le braccia forti e amorevoli di una nonna, pagherei per una partita a palla-prigioniera con maestri liberi in un lunghissimo intervallo scolastico, pagherei per scalare un albero altissimo alla ricerca di un misterioso nulla, pagherei per il silenzio di bocche sorridenti piene di gelato alla panna, pagherei per mezzora di risate vere nate dal niente, pagherei per la stanchezza accaldata di mille scivoloni sulla neve, pagherei per il sonno leggero della domenica mattina nel lettone con due genitori sorridenti, pagherei per un’ora di confidenza adolescenziale, pagherei per cinque secondi di bacio sulla macchina di qualcuno da amare irragionevolmente, pagherei per l’abbraccio entusiasta di un’amica nel fervore di un sogno impossibile, pagherei per avere un solo frammento di quella convinzione da bambina che mi faceva credere che esistevano fate che volavano e folletti che animavano i boschi, principi che ridavano vita alle principesse, favole che si realizzavano…
Francy