“Abbiamo vinto noi. In quell’aula la verità l’abbiamo portata noi e l’hanno vista tutti”, dice Ilaria, l’indomita sorella di Stefano Cucchi, il giorno dopo che la Corte d’Appello di Roma ha assolto tutti gli imputati del processo per la morte di suo fratello. Purtroppo sì, Ilaria, le foto del cadavere di tuo fratello le abbiamo viste tutti: uno scheletro coperto di segni e lividi, l’immagine della sofferenza e del dolore, peggio dell’Urlo di Munch. Mi piacerebbe conoscerla, Ilaria. Ha cercato la verità da subito, con determinazione, perchè se un fratello di trent’anni ti muore così, nel modo atroce in cui è morto il suo, di fame e di sete, con la vescica che scoppiava di urina e i segni delle percosse, completamente solo, l’unica cosa che puoi fare è cercare di scoprire che cosa gli è successo.
La storia la conoscete: arrestato in un parchetto di Roma con venti grammi di marijuana e tre dosi di cocaina in tasca, Stefano Cucchi è morto dopo una settimana, all’ospedale Pertini. L’autopsia dice che è morto di disidratazione e ipoglicemia. Bastava un po’ di zucchero, e una flebo per idratarlo, e sarebbe ancora vivo.
Se poi in quell’ospedale non ci fosse mai arrivato, sarebbe stato ancora meglio. Le radiografie hanno detto che aveva vertebre e coccige fratturati, e non si contano le testimonianze di altre detenuti ai quali Stefano aveva detto di essere stato picchiato. Un ragazzo ghanese ha visto il pestaggio coi suoi occhi.
Ma in questa storia non si riesce a trovare la verità. Nella sentenza di primo grado gli agenti di polizia penitenziaria erano stati assolti e i medici condannati per omicidio colposo. Adesso sono stati assolti tutti, agenti, medici e infermieri. Il carcere fa schifo e nessuno vuole che ci finiscano un medico o un poliziotto o un infermiere, e possibilmente neanche un tossicodipendente, ma se un ragazzo esce di casa vivo e dopo una settimana in custodia dello Stato muore in quel modo, il minimo che lo Stato possa fare è spiegare alla sua famiglia che cosa gli è successo e di chi è la responsabilità della morte. “Allora ora torno a casa e lo ritrovo” ha detto la madre di Stefano dopo la sentenza. “Se hanno assolto tutti, vuol dire che Stefano è ancora vivo”.
PAUSA PUBBLICITARIA
Io, per esempio, vi direi di ascoltare
Scendi giù di Alessandro Mannarino. traccia 5 del suo terzo album discografico
Al Monte, pubblicato nel maggio 2014.
E poi è successa una cosa bruttissima, troppo brutta. Il segretario del sindacato di polizia Sap, commentando favorevolmente la sentenza di assoluzione, ha detto: “Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se conduce vita dissoluta, ne paga le conseguenze”.
Ecco, una frase come questa non si può accettare. C’è bisogno di dire perchè? E’ una frase
oltraggiosa e crudele, e anche un po’ criminale. Inaccettabile da parte di chiunque, intollerabile per un poliziotto. I deboli vanno protetti, mica ammazzati. C’è bisogno di spiegarlo?
La dignitosa seria e coraggiosa famiglia di Stefano Cucchi questa frase non se la meritava. Mi chiedo come facciano a dormire i medici, gli infermieri e gli agenti della Polizia Penitenziaria che hanno ucciso Stefano.
Una giustizia malata che difende degli uomini diventati adulti e mostri, lo ha ucciso per la seconda volta. Questo non è più il Paese per cui mio nonno ha combattuto in guerra.
Questo Paese sta diventando agghiacciante.
Stefano, se puoi, da lassu’, perdonaci. Ti voglio bene anche se non ti ho mai conosciuto.
La Jù.
http://www.alegraaa.blogspot.it/
http://www.facebook.com/laju.franchina