Sindrome da radiazioni ed effetti del fall-out
La sindrome da radiazione è conseguenza di un’esposizione prolungata ad alte dosi di radiazioni; la sua gravità dipende dalla dose d’irraggiamento, dal materiale irraggiante e dai tessuti irraggiati. Si manifesta nel tempo con una sintomatologia caratteristica.
Con un irraggiamento di 400 roentgen (semiletale), osserviamo le fasi di seguito descritte.
Nelle prime 24 ore compaiono malessere, eritemi, nausea, cefalea, disturbi intestinali. Nella settimana successiva i sintomi scompaiono (periodo di tregua), ma continuano gli effetti dell’irradiazione: vengono infatti distrutte le cellule riproduttive del sangue. Successivamente si passa alla fase acuta: ulcerazioni, emorragie gastro-intestinali, disturbi respiratori e cerebro-vascolari. La morte sopravviene nella quarta/sesta settimana. Se la crisi viene superata, permane una elevata possibilità d’insorgenza di tumori e leucemie, nonché di mutazioni genetiche nella discendenza.
Curie e becquerel sono le unità di misura che indicano la concentrazione di determinati isotopi radioattivi in un dato ambiente, per esempio il suolo: 1 becquerel (Bq) = 2,7 x 10-11 curie (Ci). Nei primi dieci giorni dopo l’incidente, il reattore di Chernobyl rilasciò 3.000 PBq (Petabecquerel, 1PBq = 1015Bq = 1 milione di miliardi di becquerel), mentre nei mesi successivi la quantità complessiva calcolata fu di 10.800 PBq; un rilascio totale di radioattività nell’atmosfera pari a circa 14.000 PBq (400 volte Hiroshima), come indica il rapporto ufficiale sulla tragedia redatto dal Chernobyl Forum nel febbraio 2003, stilato da agenzie dell’ONU (OMS, IAEA, UNSCEAR, FAO e altre) assieme alle autorità di Russia, Bielorussia e Ucraina. Sebbene i radionuclidi liberati dall’esplosione della centrale siano stati in numero maggiore, i principali responsabili dell’impatto biologico sono: iodio-131 (emivita 8 giorni), cesio-137 (emivita 30 anni), stronzio-90 (emivita 29 anni). Inoltre, dopo la guerra dei Balcani, si sta riconsiderando l’effettiva pericolosità degli isotopi di uranio 234, 235, 238, e plutonio-239, 241, circa la radio- induzione di polmonite da raggi, cancro polmonare e linfomi (Hodgkin e no-Hodgkin): risulterebbero da cinque a dieci volte più pericolosi, specialmente se assorbiti per inalazione.
L’emissione di iodio-131 gassoso, conseguente all’esplosione del reattore, fu enorme: 1800 PBq, pari a circa 60 miliardi di scintigrafie tiroidee. L’emivita di questo radionuclide è breve se paragonata agli altri, tuttavia l’impatto biologico è assai cancerogeno a causa dell’alto assorbimento da parte della tiroide, soprattutto in popolazioni, come in questo caso, i cui organismi sono carenti di iodio. Ciò avviene soprattutto nei bambini.
Il cesio-137 (85 PBq rilevati) e lo stronzio-90 (10 PBq rilevati) hanno costituito una minaccia principalmente a lungo termine: entrambi sono contaminanti del terreno, vengono assorbiti da piante e funghi, entrano nella catena alimentare, e da questa passano all’uomo. Il cesio-137 è un emettitore gamma (portata di circa 40 m), e si concentra negli strati superficiali del terreno; oncogeno anche per azione esterna, è ubiquitario nell’organismo (ha un’attività biochimica simile al potassio), provocando forme cancerose di vario tipo e mutazioni genetiche nella discendenza. Il suo decadimento nella forma più stabile di bario-137 è del 50% nell’arco di 15-180 giorni, se il contatto con la fonte radioattiva cessa. Da qui il progetto umanitario che ha visto migliaia di bambini ucraini e bielorussi accolti anche in Italia per disintossicarsi.
Lo stronzio-90 è un emettitore beta. Si concentra negli strati profondi del terreno, presenta sostanziali analogie con il calcio, e tende a sostituirsi ad esso nella struttura scheletrica. È solubile e quindi assorbibile dal tratto gastro-enterico, provoca leucemia o tumori ossei se ingerito: alte concentrazioni si ritrovano nei cereali, nelle verdure e nel latte; e la sua emivita biologica è di 50 anni: questo significa che un organismo contaminato nei primi mesi di vita, finisce di smaltire la radioattività all’età di cento anni.
I danni sull’uomo
Nel caso di Chernobyl, eseguire calcoli, stime e previsioni corrette è assai difficile per un numero elevato di fattori, quali il diverso grado di irraggiamento tra operatori e civili, tempo di permanenza nelle varie aree contaminate, evacuazioni in stadi successivi da zone differenti e con differenti livelli di radioattività. A questo si aggiungono dati lacunosi e posizioni prudenti se non evasive di vari organi riconosciuti. Per tutti questi motivi le conclusioni raggiunte – e più o meno accreditate – sono assai distanti: il Chernobyl Forum sostiene che sarebbero 65 le morti accertate direttamente imputabili alla tragedia, nonché 4.000 quelle per patologie oncologiche presumibili nell’arco di 80 anni. Gli autori della relazione aggiungono che le popolazioni direttamente colpite soffrirebbero principalmente di una sorta di “vittimismo”, indicato col nome di “Sindrome di Chernobyl”.
Meno ottimistica la valutazione presentata dai Verdi Europei: il loro contro-rapporto denominato TORCH (The Other Report on Chernobyl) concorda sui morti immediati (65), ma indica almeno 9.000 quelli ascrivibili alla tragedia a tutt’oggi, e da 30.000 a 60.000 quelli prevedibili in futuro.
Secondo la “Chernobyl Union”, dopo vent’anni dalla catastrofe si contano già 60.000 morti e 165.000 disabili a seguito della contaminazione. Altre fonti meno attendibili indicano cifre che si aggirano sui 6 milioni su scala mondiale nel corso di 70 anni (Greenpeace).
Se anche la verità stesse nel mezzo, non sarebbe certo incoraggiante. Tuttavia, al di là dei numeri piuttosto algidi, esistono le conseguenze effettive e tangibili sulla popolazione colpita dal fall-out: se le stime dei decessi sono ancora oggetto di accese discussioni, esse rappresentano solo la punta dell’iceberg costituito da una situazione patologica generalizzata in netta ascesa nell’ambito delle popolazioni interessate: leucemie e neoplasie solide di varia natura (tumori tiroidei specialmente nei bambini), malformazioni congenite, disturbi mentali, malattie metaboliche (diabete), respiratorie e cardio-vascolari. Patologie che, se non mortali, sono sicuramente invalidanti per la generazione presente e preoccupanti per quelle future. Per chi desidera un diverso tipo d’approccio al problema, su Internet sono facilmente visibili le immagini di questa situazione: povere creature di ogni età, malate, mutilate, deformi, ritardate. L’aspetto più brutale (e forse meno rispettoso) del dopo-Chernobyl.
Conclusioni
L’incidente di Chernobyl costituisce una delle più gravi catastrofi in situazione di non belligeranza, i cui effetti perdurano tutt’oggi. Se le pesanti conseguenze ambientali sono state inevitabili, non lo erano quelle sanitarie che continuano a colpire le popolazioni di Ucraina, Bielorussia e non solo: la stima delle vittime non è, purtroppo, definitiva. Nel 1986 la situazione politica dell’Unione Sovietica aveva ancora caratteristiche di guerra fredda, e la politica del silenzio imposta dalle autorità ha prodotto un ritardo nell’evacuazione e nell’informazione delle popolazioni interessate dal fall-out radioattivo, responsabile di un vasto effetto di contaminazione. Le voci dissidenti sono state messe a tacere, come ad esempio Vassili Nesterenko, direttore dell’istituto di fisica Nucleare in Bielorussia, internato in un ospedale psichiatrico; o Yuri Bandazhevsky, direttore del Gomel Medical Institute, imprigionato cinque anni dietro false accuse di corruzione. E probabilmente tante altre. La verità, in questa vicenda, sembra gemellarsi col sarcofago che ricopre la centrale fantasma: una colata di cemento in cui appaiono le crepe. Che importa, alla fine, se Chernobyl è la stella biblica chiamata Assenzio, simbolo dell’ultimo giorno del mondo? Dopo tante parole, tante cifre e tante morti, resta soltanto qualche pensiero confuso sulla sconcertante fragilità dell’uomo, la meschina incoscienza del male, l’assurda facilità dell’apocalisse.
Fine
Fonte Vikipedia