Anno 1978, io e il mio amico Paolo (un ragazzo che abitava nella cascina poco più avanti la mia), avevamo 15 anni quando un sabato sera decidemmo di andare a Gottolengo, a cavallo del mio motorino, per vedere il film horror: I sette vampiri d’oro. Il film finì molto tardi (mezzanotte e mezza), e noi dovevamo essere a casa già da un bel po’, balzammo subito in sella al mio motorino per il ritorno ma incontrammo in paese una bella ragazza in bicicletta tutta sola soletta; “dove vai bella fanciulla?” E lei mi rispose: ”sono appena uscita dalla discoteca che c’è sotto il bar Brescia, stò andando a casa ma la mia bici non ha nemmeno un fanalino ed io abito in una cascina molto fuori paese, sareste così gentili di accompagnarmi voi?”, “ma certamente” gli risposi. Così si attaccò al braccio di Paolo e piano piano ci avviammo verso la campagna; la ragazza, oltre che bella, era anche molto simpatica, ci disse che aveva 17 anni, si chiamava Teodolinda ed anche suo papà era un contadino ed aveva un allevamento di vacche lattifere. Dopo molti chilometri in mezzo ai campi in un buio tremendo (non c’era nemmeno la luna), arrivammo finalmente alla sua cascina, “vado avanti io perché c’è Cristo libero”, (Cristo era il loro cane, un rinoceronte da 90 chili, l’avevano chiamato così perché Cristo era la prima parola che veniva in mente appena lo vedevi).
Teodolinda tenne a bada il cane e ci ringraziò, “Siete stati due Angeli, grazie di cuore”.
Tornammo indietro verso il paese, ma, avanti e indietro, gira gira, non riuscivamo a trovare la stradina per il ritorno, finché rimasi in riserva di benzina (5 chilometri in tutto di autonomia), le due e mezza di notte, eravamo disperati, c’è mancato poco che cominciassimo a chiamare la mamma; a forza di girare ritrovammo la cascina di Teodolinda; “entriamo a chiedere aiuto”, dissi, ma Paolo: “Sei fuori di testa? Appena il cane ci vede come minimo ci sbrana”; “Allora facciamo così: giriamo attorno alla cascina suonando il clacson”. Dopo il primo giro il cane cominciò ad inseguirci come una belva inferocita, dopo quattro giri finalmente nel cortile trovammo Teodolinda, suo papà, sua mamma, la sorella, gli zii ed i nonni, tutti in mutande, canottiera e camicia da notte. Bloccarono il cane che aveva in bocca 30 centimetri di pantalone di Paolo, “Papà, questi ragazzi sono stati gentilissimi, mi hanno accompagnato loro a casa, ma cosa ci fate ancora in giro?”, “Ci siamo persi, non abbiamo più trovato la stradina del ritorno, qualcuno di voi è così gentile da accompagnarci in paese?”.
E li cominciarono a ridere, a ridere, a ridere; Paolo mi guardò e disse: “Che figura di merda”.
Il papà di Teodolinda (veramente gentile ed in mutande), prese la sua auto e ci disse di seguirlo, mangiammo un quintale di polvere ma arrivammo in paese, poi ci salutò e si mise ancora a sghignazzare come un matto. Poco prima di arrivare al cimitero di Gambara, il motorino si spense senza benzina, lo dovemmo spingere per almeno 7 chilometri per arrivare a casa. L’ultimo tratto di strada in mezzo ai campi, fu tremendo, sembrava che le ombre ci parlassero, sentivamo le urla dei vampiri (complice il film che avevamo visto); finalmente arrivammo davanti alla mia cascina (ore 03,50), “Ciao Paolo, ci vediamo domani”, “Sei impazzito? Non vorrai farmi fare gli ultimi 100 metri da solo?” Così appoggiai il motorino ad un albero e lo accompagnai alla sua cascina; nel ritorno feci una tale corsa che (credetemi sulla parola), stabilii il nuovo record mondiale dei 100 metri. Ho ancora in mente le parole di Paolo quando mi salutò: ”Mi raccomando, non diciamo niente a nessuno di quanto è accaduto stanotte”.
“Non preoccuparti, sarà un nostro segreto”.
Giordano