Benazir Bhutto aveva un sogno: cambiare il suo paese, il Pakistan. E per questo scelse una strada difficile e in salita: entrare in politica e raccogliere l’eredità del padre, ex primo ministro, che era stato deposto dal dittatore Zia ul-Haq, e poi ucciso nel 1979. Benazir subì a sua volta gli arresti domiciliari, il carcere duro e l’esilio in Gran Bretagna. Ciononostante, Benazir Bhutto non smise mai di lottare per la democrazia nel suo paese, fondamentale per la pace e per combattere il terrorismo.
Raccolse l’eredità politica del padre e divenne leader del Partito Popolare Pakistano.
Nel 1986 rientrò in Pakistan, accolta con grande entusiasmo da chi sperava in un rinnovamento del paese, ma fortemente osteggiata da chi vedeva in lei un pericolo per il regime e un’offesa alle tradizioni, per il suo essere una donna troppo libera, moderna e coraggiosa, in una società ancora patriarcale e maschilista.
Grazie al successo elettorale del suo partito nel 1988, fu nominata Primo Ministro.
La prima donna in un paese islamico. Il suo programma prevedeva riforme, accesso all’istruzione per i più poveri, servizi essenziali e, soprattutto, un nuovo ruolo alle donne, perché come sosteneva:
“Quando le donne sono rispettate e considerate alla pari con gli uomini, si moltiplicano e migliorano le premesse sociali necessarie a far entrare una nazione nella comunità globale”.
Nonostante l’entusiasmo iniziale, il suo governo durò solo 20 mesi: fu destituita con accuse di corruzione, che in qualche modo gettarono ombre su un personaggio straordinario.
Tornò al potere nel 1993, per tre anni.
Ma anche questa volta fu deposta, senza avere il tempo di portare a termine il suo programma di riforme. Dopo un altro esilio, Benazir Bhutto rientrò in Pakistan nel 2007, accolta dall’entusiasmo dei suoi sostenitori che speravano in una sua nuova candidatura. Però quello che sembrava un momento di festa si trasformò in tragedia: un attentato suicida dei Talebani causò 138 vittime e circa 600 feriti. Lei si salvò miracolosamente, ma era ormai chiaro che era solo questione di tempo. E, infatti, due mesi dopo, il 27 dicembre del 2007, Benazir Bhutto venne uccisa al termine di un comizio, mentre salutava la folla. Prima un colpo di pistola, poi un’esplosione che causò la morte di una ventina di persone. Benazir Bhutto sapeva benissimo a quali rischi andava incontro, sapeva di avere molti nemici, alcuni anche molto vicini, aveva già provato sulla propria pelle la macchina del fango e della legittimazione, e sapeva di essere un obiettivo per gli integralisti islamici e per gli oppositori politici. Sapeva di essere in pericolo, ma ciononostante non si tirò mai indietro, perché, come amava ripetere: “Una nave in porto è al sicuro ma non è per questo che le navi sono state costruite”.