Oggi, citazione quasi dovuta:
“Aprile è il più crudele dei mesi: genera
Lillà dalla morta terra, mescola
Ricordo e desiderio, stimola
Le sopite radici con la pioggia primaverile.”
T.S.Eliot, La terra desolata
Non amo troppo la primavera (e men che meno l’estate). Bella è bella, ma non sono in sintonia con lei. Tutto quel fiorire, quel buttar fuori il meglio di sé in un colpo solo… è bello, certo.
Ma è troppo. Troppo sfacciato, troppo estroverso. Faticoso. Generare lillà dalla terra morta, mescolare ricordo e desiderio, spingere su la linfa dalle radici. Troppo.
Certo la primavera genera meraviglia e stupore. Come fuochi d’artificio che squarciano la notte, i suoi colori si stagliano sgargianti contro il cielo. Belli e assordanti, sontuosi e alteri.
E poi il giorno che si allunga sempre di più, che non finisce mai, che non si decide a quietarsi nella sera: troppa luce, troppo a lungo. Bella, la luce alle otto di sera. Ma stancante. Si vede che sto invecchiando. Mi meravigliano tutti quei colori, tutta quella luce. Guardo incantata tutto quello splendore, ma non lo amo. Amo i verdi delle foglie che durano mesi, la linfa che sotterranea scorre e dà vita all’albero in ogni stagione. Ammiro la scena, ma amo la sostanza.
“Oh, albero di fico, da quanto tempo ormai per me ha significanza il modo in cui tu salti quasi la fiorita e nel frutto per tempo voluto, senza esaltarti, spingi il tuo puro mistero. (…)
…Noi, invece, indugiamo
ah, ci esaltiamo a fiorire, e nella sostanza tardiva del nostro frutto finale, entriamo traditi.”
R.M. Rilke, Sesta elegia duinese
Ecco, non vorrei entrare tradita nel frutto finale. Cerco di rimanere collegata con la mia linfa sotterranea, e quella amo, perché c’è sempre, anche quando faccio fatica a sentirla. Perché quella linfa nutre e sostiene ogni tempo dell’anno, e ci posso contare, a lei mi posso affidare. Nel silenzio, nascosta agli sguardi indiscreti, lavora. Questo è stupefacente.
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