Gentile Dott.ssa Ghezzi sono una lettrice di New Entry. Le scrivo per chiederle un consiglio.
Lavoro, a tempo determinato, presso una società, inizialmente come sostituzione maternità di una dipendente che, causa problemi familiari, è rientrata in azienda dopo 6 anni. Premetto che io e questa collega, prima che rientrasse al lavoro, ci siamo viste al massimo una settimana.
Al suo rientro dopo la lunga assenza, per mettersi alla pari giustamente ha iniziato a fare domande. Dopo una settimana di continue domande, orari che da parte sua non venivano rispettati, nessuno dei superiori o dei colleghi con più anzianità lavorativa di me le faceva osservazioni, dopo l’ennesima domanda (di scarsa importanza) rivoltami in un periodo non dei migliori per me (problemi di salute e di lavoro) involontariamente le ho risposto con un tono di voce un poco seccato. Dalla sua reazione ho temuto di avere i giorni contati (in un qual senso è accaduto: riduzione dell’orario di lavoro con la motivazione che costavo troppo lavorando 8 ore. Almeno, anche se per poco, mi è stato rinnovato). Inconsciamente ho considerato colpevole di tutti i cambiamenti in azienda (atteggiamenti, responsabilità lavorative ed orari) la collega rientrata. Purtroppo i cambiamenti li ho anche nel carattere (mi accorgo di essere a volte aggressiva nei confronti di gente che non è coinvolta col lavoro). Quando parlo della collega, non di proposito,cambio atteggiamento: divento, come si suol dire, acida nei suoi confronti, sono quasi contenta se commette errori per poterglieli far notare (considerando che ha trascorso gli ultimi mesi a verificare il lavoro svolto da tutti nei 6 anni di assenza). Cosa mi sta capitando?
Che sia gelosa? Che sia ansiosa per il mio futuro lavorativo ed attribuisco a lei la colpa di quello che mi potrà accadere? Come mi devo comportare per poter tornare a vivere serenamente?
Grazie in anticipo per i suoi consigli.
Anna
Cara Signora Anna si fermi un attimo, faccia un bel respiro e provi a pensare se questa sua collega le ricorda qualcuno di molto vicino, come un parente stretto. Trova qualche corrispondenza tra i movimenti, i modi di fare e le espressioni del viso della collega con le caratteristiche di qualche suo famigliare signora Anna? Perché nonostante la situazione lavorativa in cui si trova (il contratto a tempo determinato con la possibilità di riduzione dell’orario di lavoro) e il contesto aziendale che non sembra molto caldo e accogliente (una sola settimana per il passaggio di lavoro e la neutralità dei colleghi più anziani) il risentimento che prova per la sua collega è davvero molto, arriva a condizionare la sua vita lavorativa, relazionale e la sua serenità nel pensare al presente e al futuro. C’è qualcuno nella sua famiglia, o in quello che per lei è famiglia, che la guarda come la guarda la sua collega? Qualcuno che le fa un sacco di domande che magari lei non ritiene appropriate o addirittura offensive perché mettono in dubbio le sue capacità e il suo ruolo? Qualcuno che ha una posizione privilegiata e che ha più influenza sugli altri membri della famiglia di lei, qualcuno da cui si sente controllata, che la punisce diventando ancora più rigida nei suoi confronti quando cerca di ribellarsi o di dire la sua? C’è qualcuno della sua famiglia di cui non parla volentieri con gli altri e che è spesso nei suoi pensieri, qualcuno di cui studia i comportamenti alla ricerca dei suoi errori per potergli finalmente dire “vedi che non sei perfetta-o nemmeno tu?”.
Signora Anna, questo lavoro tanto sofferto le sta presentando l’occasione di riviversi in una relazione simile a una delle più significative della sua vita. E questa volta è un po’ più facile, perché il contesto lavoro è molto meno intenso della famiglia: qui ha più possibilità di trovare comportamenti alternativi a quelli sperimentati nel passato per stare in quel preciso tipo di relazione senza soffrirci troppo e forse riuscendo anche a trovarne giovamento.
Il consiglio che le posso dare è raccogliere informazioni. La sua collega è stata a casa sei anni per problemi famigliari, lei sa che cosa le è successo? Sapere cosa ha vissuto e cosa sta vivendo, la aiuterà ad entrare in connessione, a creare uno spazio di condivisione, per capire, per comprendere, collegare, per darsi una spiegazione. Perché è davvero difficile arrabbiarsi se, anche per un attimo, si riesce a provare quello che sente l’altro. Bisogna solo concedersi la possibilità di farlo, la fantastica opportunità di entrare dentro gli altri.
Dott.ssa Rita Ghezzi – rita-ghezzi@libero.it
Psicologa clinica e psicoterapeuta in formazione