“Tutte le sere, quando si apre il sipario della notte, nel cielo nero si accendono le stelle e inizia lo spettacolo che da millenni mette in scena storie in cui si muovono eroi, mostri, fanciulle più divine che terrestri: tutti impegnati in un repertorio d’amore e d’avventure ai confini della relata”
Margherita Hack
“Mi porti a vedere le stelle?” chiesi sottovoce, come se avessi paura di ricevere una risposta.
Eppure mi aveva sentita e io lo capiì solo quando mi fece affacciare sul balcone per farsi vedere.
Da piccola mi avevano insegnato che la stella più luminosa del cielo era il nonno che, ogni sera, mi raggiungeva per vedermi una sola volta ancora.
Iniziai così ad attendere con ansia la notte per parlare ad un cielo che silenziava le mie parole.
Sirio. Quella stella non era mio nonno, ma si chiamava Sirio, ovvero la stella più luminosa del cielo notturno; era una stella bianca, appartenente alla costellazione del Cane Maggiore.
Lo avevo imparato a scuola, quando, alla domanda della maestra su quale fosse la stella più luminosa del cielo, io avevo risposto con il nome di mio nonno e lei si era messa a ridere.
Non capendo cosa ci fosse di così divertente, andai da mia mamma a chiedere chi fosse Sirio e perché lui poteva avere una stella mentre nonno no. Non mi ricordo la risposta ma so con esattezza che da quella sera iniziai ad appassionarmi all’astronomia. Al mio decimo compleanno regalai una stella a mio nonno, così che, ogni volta che mi fermavo ad osservare il cielo, potevo vedere nonno e donargli ancora il mio sorriso.
Continuai ogni sera a cercarti tra le stelle, nonno, e continuai a parlare sotto un cielo che attenuava i miei discorsi. Quando, però, ad un cielo già luminoso, si aggiunse un’altra stella, fui certa di essermi innamorata di qualcosa di troppo distante. Mi ero innamorata delle stelle che ogni sera accompagnavano i miei sogni, di quelle stelle che nascondevano ricordi e di quelle stelle che brillavano attraverso i miei occhi. Poi ho spento la luce ed è stato come se il cielo si fosse spento con me. Ogni stella brillava un po’ di meno e trasmetteva freddezza a degli occhi impassibili. Quel balcone divenne abbandonato e i nonni di una bambina smisero di “sgomitare” per farsi vedere.
Poi, un giorno, una ragazza accese quella luce, spenta da anni, e il cielo ritrovò quella leggerezza che lo distingueva. Una ragazza si impossessò di quel balcone e iniziò a parlare osservando un cielo timido. Quelle parole non furono mai silenziate e le stelle, forse per curiosità, ricominciarono a osservare silenziose. Tutto il cielo era illuminato, tranne quello spazio occupato da due stelle dimenticate.
La ragazza non abbandonò mai quel posto sotto il cielo, dove i nonni poterono riconoscere il suo sorriso, nonostante gli anni passati.
Quel posto dove, ora, si incontravano una bambina dai lunghi capelli e una ragazza dai capelli corti.
Entrambe, però, lessero nel cielo la stessa frase:
“Chi non ha luce in viso, non diverrà mai una stella”. E così, ogni sera, una bambina e una ragazza si tenevano per mano per guardare quel cielo così familiare con un sorriso che non nascondeva parole per far risplendere le stelle nei loro occhi verdi.
Valeggi Eleonora