Anfipione e Anapia vivevano felici, con il padre e la madre, alle falde del Monte Etna. Intorno alla loro ricca casa c’era la fertile terra, dalla quale si riuscivano a ricavare due raccolti l’anno.
La loro vita scorreva tranquilla. Ma una notte il vulcano si destò. Boati spaventosi atterrirono gli abitanti delle valli; all’alba, un fumo nero coprì il cielo oscurando il sole. Poi il cratere iniziò a eruttare lapilli infuocati. Quando la lava cominciò a scendere come un fiume di fuoco verso l’abitato, ciascuno si mise in salvo, portando con sé le cose più preziose e quelle più care. Anche Anfipione e Anapia fuggirono con i genitori. Ma ben presto padre e madre, che erano vecchi e infermi, non ebbero più la capacità di proseguire con le loro forze. Intanto la lava s’avvicinava, bruciando tutto al suo passaggio: le case rovinavano, si faceva tutt’intorno un deserto di pietra. «Fuggite, figlioli, salvatevi almeno voi !» gridarono i due vecchi. I due fratelli, invece, per nulla badando agli incitamenti dei genitori, se li caricarono sulle spalle e ripresero faticosamente il cammino. Ma la colata di lava era inesorabilmente più rapida del loro passo.
«Fuggite o sarete perduti … Non vedete che stiamo per essere circondati? Voi due, da soli, potete ancora salvarvi …» implorarono per la seconda volta i generosi vecchi.
Ma i due giovani non rinunciarono al loro coraggioso tentativo. Quando sentirono le forze mancare, senza una parola abbracciarono i loro cari e tutti stretti insieme attesero la fine. Ma davanti a quella prova d’amore più forte della morte parve che anche il fuoco fosse preso da rispetto. Il torrente di lava, giunto all’altezza dei quattro infelici, si divise cosicché questi rimasero illesi e poterono mettersi in salvo.
Quando la vita rinacque alle falde dell’Etna, i Catanesi eressero un monumento in onore dei due giovani. Ancor oggi il luogo dove il fatto avvenne conserva il nome di «Campi Pii», per ricordare l’amore filiale di Anfipione e Anapia.
Julia Runggaldier 2000/2001
Fonte: www.schule.suedtirol.it