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Alla scuola delle emozioni…

Il tema trattato con i ragazzi di una scuola lombarda spaziava dall’uso e abuso di sostanze stupefacenti, al bullismo dalle classi alla strada, la violenza come strumento identitario, di consenso, di riconoscimento sociale.
Giovani schierati sulla difensiva, apparentemente lì per caso, come a voler significare che non c’è bisogno di conoscere ulteriormente questi temi, eppure non ci vuole un macchinario di ultima generazione per individuare chi ha familiarità con una canna, chi con qualche beverone, chi con la prepotenza tenta di travestirsi ogni mattina prima di entrare in classe.
C’è chi assiste alla lezione con un’aria di sfida, chi è in cerca di una pacca sulla spalla, chi vorrebbe sentirsi dire che la vita è bella e bisogna avere fiducia, anche quando è schiacciata dalla volontà di non averne, perché ogni volta si pensa di rimanere fregati, e quando si è giovani un comandamento non scritto recita di non dare mai le spalle, se non a qualche amico all’angolo del quadrato.
Una classe nè più nè meno trasgressiva di altre già incontrate, eppure i volti, gli sguardi non hanno maschere a sufficienza per celare un certo fastidio nel relazionarsi su temi e inciampi così ostici, ingombranti dirimpettai per quanti rimangono a difesa del proprio ruolo di famosi per forza, per la paura di rimanere impigliati nella gabbia degli sfigati.
Non c’è solamente l’urgenza dell’approvazione e del riconoscimento nel mucchio, c’è qualcosa di più nello sguardo in alto e in quell’altro tenuto basso, c’è impellente la ricerca di una motivazione, di un interrogativo comprensibile, di una risposta che non sia travestita di comodo.
Forse è importante spendere più tempo e pazienza per risultare un contrasto efficace alla follia di tutte le droghe, evitando gli imponimenti e gli imbonimenti destinati a non dare frutti, rispetto a un percorso di confronto e di relazione, che reciprocamente non teme le inadeguatezze. La droga non è solo un problema della società contemporanea, è dipendenza che addomestica le coscienze, attraverso la promessa-menzogna di mettere a tacere il vuoto-male che ci portiamo addosso, un excamotage illusorio per scrollarci di dosso i pericoli e i dazi da pagare, ma imboccato il vicolo cieco, c’è l’ostacolo insormontabile a spedirci al tappeto.
La pretesa di raggiungere lo scopo senza fatica affidandoci alla filosofia derivante da una società bullistica, alimenta illegalità e violenza, e come ha detto Mons. Mariano Crociata Segretario Generale della Cei, ci porta dentro un vero e proprio “disastro antropologico”.
Quando si procede sempre in picchiata, posizionati su una discesa immaginaria, non ci si accorge di essere puntualmente fermi, per cui tragedia, dolore e disperazione non sempre sono spiegabili, ma stanno alla base di ogni solitudine, di ogni assenza.
L’arma della violenza, dell’omertà, del sopruso, degenera in stile di vita, mentre l’atteggiamento teatralmente irresponsabile convince che la colpa, il problema, sono sempre derivazioni altrui, mai riconducibili a se stessi.
Quando si hanno di fronte tanti giovani in punta di piedi o con gli anfibi, occorre giocare pulito, raccontare il proprio vissuto fino in fondo, condividendo le emozioni di un cuore in tumulto, ma senza manipolare la loro testa e il cuore per tentare a tutti costi la meta.
Vincenzo Andraous

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