Siamo nel lontano 1964, l’anno in cui Clay stese Liston, divenendo campione del mondo, i sessanta furono uno dei decenni più agitati e sconvolgenti di sempre.
Nel 1964 in Italia, spopolava Gigliola Cinquetti con “ Non ho l’età “, mentre la Ferrero ad Alba lanciava sul mercato la Nutella.
Di lì a pochissimi anni sarebbe scoppiato il finimondo, nel 1968 cominciarono le rivolte studentesche e tutti quei movimenti che volevano cambiare il mondo e la società…
L’Italia non ne fu di certo immune, venne sconvolta e “Scoperchiata“ da tutta una serie di mutazioni degli usi e consuetudini della società che quasi non ebbe precedenti nella storia della nostra repubblica.
Nell’incantata Parigi, durante il salone dell’automobile del 1964 appunto, furono tolti i veli ad una delle one off più affascinanti di sempre del biscione. La Canguro, si mostrò in tutta la sua bellezza e con tutti gli avanguardismi di cui era portatrice in campo automobilistico.
Ne fu prodotta una sola, motorizzata con il leggendario bialbero con due carburatori, sviluppava la notevolissima potenza di ben 170 CV a 7500 rpm. Trazione posteriore e cambio a cinque marce. Le linee vennero plasmate dalla matita di Bertone, risulta particolarissima alla vista, linee affusolate e filanti, sedere corto con coda tronca e muso lungo, quasi a protendersi verso l’asfalto. Ampie e bombate le superfici vetrate, vennero incollate al corpo vettura con un particolare tecnica di derivazione aereonautica. Questo consentì che l’altezza della vettura risultava essere di soli 105 cm. Il telaio era tubolare, di strettissima derivazione TZ. Di questa leggerissima e molto veloce sportiva non si sa molto, ancor più difficile risulta vederla essendo appunto un esemplare unico.
Sotto il lunotto posteriore troneggiava la ruota di scorta. Ovviamente data la natura della macchina, è un due posti secchi.
Fu distrutta durante un test della stampa all’autodromo di Monza, la stessa venne condotta poi in un deposito dove rimase per un lungo tempo. Passò in mani tedesche, sino a finire nel paese del sol levante, dove un collezionista la restaurò e ora fa sfoggio di tutta la sua unicità in rarissime e selezionate occasioni. Il restauro non fu semplice a causa delle molte parti mancanti e al fatto poi che stiamo parlando in un pezzo unico.
Visse due volte appunto, una prima e breve vita, l’incidente e poi scartata per la produzione in serie in quanto troppo estrema e costosa.
Ora si fa ammirare come dicevo, mi fa pensare quando la guardo sullo sfondo del mio pc e credo che di auto così non ne faranno più.
Più guardo i listini di oggi, più mi rendo conto che non fanno per me, troppi schermi, troppa tecnologia. Per chi come me ama guidare e cercare di capire di che pasta è fatta una macchina, oggi trovo sempre meno differenze e sempre più appiattimento.
Antonio Gelmini
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