Quello che sto per raccontare può sembrare una storia inventata invece è un fatto che è successo a me Giusi e a Vincenzo, mio fratello minore. Parlo di circa sessant’anni fa, ma ricordo ancora tutto nitidamente. In quel periodo avevo sette anni con altri tre fratellini più piccoli. Ci eravamo ammalati di difterite, una malattia infettiva e molto pericolosa per la vita stessa: non c’erano medicinali o vaccini salvavita come ora, perciò il padrone della cascina dove mio papà lavorava e dove noi abitavamo, pensò bene di cacciarci immediatamente e tante porte si chiusero in fretta davanti a noi. Noi, su un carretto sgangherato prestato da una persona di buon cuore, non sapevamo dove andare finchè un addetto del Comune, impietosito, ci trovò una sistemazione provvisoria ma che durò quasi un anno. Era una vecchia chiesa sconsacrata, diroccata, umida e tetra: la Chiesa di Santa Lucia. Ora non c’è più ed al suo posto c’è la Caserma dei Carabinieri. Ci misero a disposizione delle brandine per dormire, le uniche cose che ci diedero. I miei genitori cercarono di rendere abitabile questo enorme e alto stanzone. Intanto la malattia faceva il suo corso, ci portarono tutti e quattro all’Ospedale di Ghedi ma ci rinchiusero in una stanza ed io che ero la più grande dovevo assistere i miei fratellini, dargli le medicine, imboccarli ed accudirli perché nessuno voleva avvicinarsi a noi. Finalmente dopo tanti giorni di isolamento ritornammo a casa risanati sperando che l’incubo fosse finito ma ne stava per cominciare un altro di tutt’altro genere. La Chiesa era sempre tetra e umida ma era la nostra casa, la notte sentivo rumori, passi, risate e qualcuno mi pizzicava. Mi svegliavo e vedevo un’ombra scura che mi volava sulla testa, urlai forte e la mamma mi sgridò e mi invitò di dormire poiché si trattava, secondo lei, solo di un sogno. La notte successiva avevo paura ad addormentarmi e successe la stessa cosa, ma anche Vincenzo vedeva quello che vedevo io. Avevamo una paura folle, le ombre volavano sulle nostre teste, ridevano, parlavano ad alta voce, sghignazzavano, pensavo che le sentissero tutti e che i miei genitori li avrebbero cacciati ma loro dormivano tranquilli e non osavo svegliarli per non essere sgridata. Mi ricordo in particolare una notte, un uomo dall’aspetto truce, la fronte aggrottata, i baffoni neri, vestito di scuro mi guardava e sogghignava, volava sulla mia testa una, due, tre volte, io terrorizzata, mi nascondevo sotto le coperte sperando che andasse via ma lui era lì e si divertiva a spaventarmi. Sbirciavo dalle coperte ma ecco altre ombre nere evanescenti che fluttuavano nell’aria, ridevano, bisbigliavano, a volte ci ignoravano, altre ci guardavano e volavano su di noi. In sacrestia avevano lasciato un grosso vecchio carro funebre nero di quelli che trainavano i cavalli con pennacchio e frangioni, non più utilizzato… un ‘ombra nera vestita da soldato si sedette al posto di guida, era giovane ed io lo guardavo dal mio lettino, riuscivo a vederlo bene poi un forte colpo di tosse di mio papà li fece scappare tutti. Certe notti chiedevo a mio papà di coprirmi con il suo grande mantello nero così loro non avrebbero potuto vedermi nell’oscurità. A volte era così, dormivo tranquilla ma il mantello era l’unico indumento pesante che aveva il papà e lo stropicciavo tutto perciò potevo usarlo raramente. Ora a distanza di tanti anni penso a quelle povere anime in pena ma che hanno veramente tormentato le mie notti da bambina. Questi avvenimenti finirono quando finalmente ci trasferimmo in un’altra cascina ma né io né Vincenzo entrammo più in quella Chiesa. Parecchi anni dopo fu demolita ma non fui mai dispiaciuta. Esperienza vissuta da Giusi di Ghedi (Bs) – Scritta dalla figlia Enrica.