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VISI D’ANGELO

“IO NON SONO CATTIVA, É CHE MI DISEGNANO COSÌ

Una riflessione che parte proprio da questa citazione tratta dal film “Chi ha incastrato Roger Rabbit”. Come ben sappiamo il mondo è pieno di cliché e stereotipi difficili da sradicare, ed anche quelli che volteggiano intorno alle persone con disabilità sono tutt’altro che pochi. Spesso senza cattive intenzioni, ma considerarli eterni bambini fino a sminuirne le capacità, culturali, professionali e relazionali, viene spontaneo e naturale. Un numero svilente di volte mi è capitato che parlando con me le persone cambiassero tono di voce, acquisendone uno da giullare, proprio come si fa innatamente, e probabilmente, stupidamente coi bambini. Quante volte mi è capitato di uscire con un’amica o con mia sorella e che le persone le scambiassero per le mie badanti. Ora ci rido su, non me la prendo quasi più, ma le prime volte che capitava mi arrabbiavo tantissimo.

È assolutamente improbabile, per la mente evoluta di certi individui, che una persona disabile abbia degli amici, e se questi amici ci sono, saranno sicuramente mossi da sentimenti di pietà e compassione, e il fortunato che gioverà di questo rapporto, neanche a dirlo, sarà ovviamente soltanto il povero caro menomato.
Un’altra fantastica quanto fittizia caratteristica che troppo spesso viene affibbiata a noi, meravigliose creature angeliche, è quella di possedere un buon carattere e una dolcezza innata, raramente ci vengono collegati sentimenti ostili (praticamente siamo l’equivalente dei teletabbis), e immaginare di accostare la rabbia ad una persona con disabilità può essere difficile, o comunque, solitamente si penserebbe semplicemente “poverina, è arrabbiata con la vita, non accetta la propria disabilità” quando invece l’unica cosa che non accetto sono certi comportamenti o certe uscite poco felici.
Ci tengo a precisare che comunque c’è sempre una via di mezzo tra l’essere angeli o demoni, siamo persone, con le stesse emozioni che prova ogni essere umano. Probabilmente sto sottolineando l’ovvio, ma meglio non dare nulla per scontato. Esiste poi la signora che mentre sei seduta al bar a gustarti cappuccio e brioche ti agguanta da dietro per stamparti un bacio in fronte e una carezza colma di dolore per la tua sfortunatissima vita. O ancora, il cameriere che, visibilmente imbarazzato, dopo aver temporeggiato prendendo l’ordinazione di tutti i commensali normodotati, scavalca goffamente il disabile rivolgendosi a qualcun altro del gruppo: “Scusi, il suo amico cosa prende?” “Se ce l’ha, un piatto vuoto, così glielo tira in testa, grazie!”. (questo è capitato ad un amico). E poi c’è l’ennesima persona che guarda i disabili come fossero guerrieri, coraggiosi, meravigliosi, angeli sofferenti con tanto da insegnare alle persone cosiddette normodotate. E diventiamo supereroi per il semplice fatto di guidare un’auto, fare la spesa o cucinare. BAAASTA!
Quindi, ripetiamo insieme: né bambini trentenni, teletabbis o angeli scesi in terra, non supereroi, né poverini, e possiamo parlargli senza timore che ci mangino (a meno che si siano alzati con la luna storta o non avete collegato la lingua al cervello o al cuore prima di farlo). Sempre per la serie “non diamo nulla per scontato”: le persone che convivono con una disabilità non sono personaggi fantastici, sono persone in carne ed ossa (e un po’ di metallo) con pregi, difetti e sentimenti, come tutti. Per questo è impossibile insegnare a qualcuno come bisogna comportarsi quando ci si trova davanti una persona diversa, (giuro che me lo hanno chiesto) perché molto probabilmente basta semplicemente essere sé stessi, comportandoci come faremmo con chiunque, indipendentemente dal tipo di diversità, che sia fisica, culturale, etnica o altro.
Potrei riempire queste pagine con svilenti quanto esilaranti comportamenti e atteggiamenti che parte del genere umano ha inspiegabilmente imparato ad utilizzare con noi, etichette impropriamente appiccicate su questo tema, ma preferisco fermarmi qui, perché fortunatamente non tutti sono così, e ormai l’evoluzione della specie sta cercando di favorire, per quanto possibile, e con immani sforzi, l’apertura mentale. Questi fastidiosi adesivi sono difficili ma non impossibili da staccare e, nonostante quanto scritto, penso che il cambiamento debba partire innanzitutto dai diretti interessati, non dalla signora che ci compatisce, non dal cameriere imbarazzato e non dal fanatico ammiratore, ma dal nostro atteggiamento, dal modo in cui ci comportiamo, parliamo e soprattutto pensiamo. Poi se leggendo questo articolo ti sei riconosciuto in uno o più atteggiamenti, tranquillo, si può sempre migliorare! Vale per me quanto per te. Incontriamoci a metà strada!
Silvia Panza

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