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AFFIDO A TE

Quando ho conosciuto mia moglie (circa 33 anni or sono), e passato il tempo che lei ha ritenuto opportuno, ha voluto presentarmi ai suoi familiari, sono rimasto alquanto stupito nell’apprendere che lei viveva con la zia Vincenza (sorella di sua mamma). Alla domanda: non hai più i tuoi genitori ? Mi rispose così: – cercherò di spiegarti brevemente la mia complessa storia familiare: quando i miei genitori si sono sposati avevano già una bimba (mia sorella Elvira), mia mamma era incinta di me da qualche mese, 11 mesi dopo è arrivata mia sorella Luigina, così mamma Brigida si è trovata con 3 bambine piccole da accudire, senza considerare che dopo un paio di mesi è rimasta nuovamente incinta.

Mio padre per mantenere la famiglia svolgeva due mestieri: in fabbrica di giorno e guardia notturna la notte, come si può ben intuire aveva poco tempo da dedicare ai figli. Puoi immaginarti le immani difficoltà dì mia madre a gestire noi 3 piccoline essendo anche incinta, ma la molla che innescò la decisione di affidarmi ai miei nonni materni è scattata quando avevo un anno e mezzo; erano i primi giorni di dicembre, mamma Brigida stava lavando i panni inginocchiata su un asse di legno sulla riva del fosso che scorreva vicino casa, la più piccolina di noi la portava in una specie di marsupio di lana, io ed Elvira eravamo dietro di lei; mi sono avvicinata sempre di più alla riva finché sono caduta in acqua, mia mamma disperata è saltata dentro, c’era un po’ di corrente ed ogni volta che cercava di afferrarmi io ero sempre più avanti, camminava con tutte le sue forze nell’acqua gelida fino alla vita, ogni volta che si chinava con una mano stringeva al petto la piccolina che aveva nel marsupio e con l’altra cercava in tutti i modi di prendermi, e finalmente dopo parecchi metri c’è riuscita, ha afferrato i miei boccoli biondi e per i capelli mi ha tirato su.

Risalita dalla riva ha cercato di rianimarmi tenendomi per i piedi a testa in giù, dopo parecchi scossoni ho ripreso a respirare, una volta corsa a casa mi ha tenuta vicino al focolare e piano piano dal colore bluastro sono ritornata ad uno più roseo. Dopo questo gravissimo episodio, assieme a mio padre hanno preso una tormentata difficile decisione che sicuramente gli ha spezzato il cuore: affidarmi ai nonni materni per evitare che rischiassi nuovamente la vita in qualche altro incidente. Il loro dispiacere era maggiormente accresciuto dal fatto che quando si sono sposati si erano trasferiti da Verolanuova (paese d’origine) a Sarezzo, cittadine che fra loro distano 55 km, mio padre possedeva solo una motoretta,  non l’automobile e il venire a trovarmi spesso sarebbe stato alquanto complicato.

Così all’età di un anno e mezzo mi sono ritrovata a Verolanuova in una nuova famiglia composta dai miei nonni materni e dalle loro due figlie non ancora sposate: zia Rina e zia Vincenza. A 14 anni ed a distanza di pochi mesi uno dall’altro, i miei nonni sono morti, ho provato un dolore indescrivibile: mia zia Rina in seguito si è sposata ed io sono rimasta con zia Vincenza che per sua scelta, ha voluto rimanere nubile; francamente non ho mai veramente capito se non si è maritata per non lasciarmi sola o se perché considera gli uomini uno più stronzo dell’altro.

Caro Giordano, adesso ti è chiaro il mio quadro familiare ? –  Più o meno, ma volevo chiederti: i tuoi genitori, non sono più venuti a riprenderti ? –  Si, quando avevo 10 anni, ogni volta che decidevano di riportarmi a casa arrivava un altro figlio (noi siamo in 9 fratelli), e così rimandavano all’anno successivo finché tutto fu pronto per riaccogliermi, i miei nonni caricarono le mie cose in macchina e con immenso dispiacere (ormai mi consideravano una loro figlia), partimmo verso la mia famiglia d’origine.  Fui accolta con baci, abbracci e tanto amore ma dopo 15 giorni dovettero richiamare i nonni per venire a riprendermi, non mangiavo più dal dispiacere, mi sono trovata in una famiglia non mia, sia papà mamma e fratelli, hanno cercato in tutti i modi di farmi sentire a mio agio, ma io adoravo i nonni e le zie, d’altronde, loro mi avevano cresciuta, e così i miei genitori hanno dovuto distaccarsi da me per la seconda volta ed in modo “definitivo”. Naturalmente venivano a trovarmi, poi quando preso la patente andavo io da loro, certe volte stavo là qualche giorno ma il mio nido era rimasto a Verolanuova.

Quando mia moglie Giovanna mi raccontò le sue complesse vicende familiari, all’epoca rimasi alquanto perplesso, mi domandavo come potessero dei genitori affidare la propria bimba ad altri, ma poi conoscendo meglio tutti i protagonisti di questa articolata storia ho compreso cose che prima mi ero permesso di giudicare con troppa superficialità. La mia futura sposa, prima mi ha presentato a tutti i parenti di Verolanuova (suo paese di residenza) poi una domenica di buon mattino siam partiti per Sarezzo a conoscere la sua seconda famiglia, quella d’origine.

Giunti a destinazione siamo stati accolti come fossimo i reali d’Inghilterra, dai suoi 8 fratelli, più i genitori, più le consorti di due fratelli sposati, per un totale di 12 festanti parenti, i quali tra strette di mano, abbracci e pacche sulle spalle, mi hanno “massacrato” (naturalmente in senso buono).  Intendo dire che siamo stati assaliti da uno straordinario affetto, anche fisico a cui io non ero mai stato abituato.

Nella mia famiglia nessuno si è mai abbracciato, queste effusioni non erano contemplate nell’educazione dei miei genitori (sto abbracciando molto mia mamma in questo periodo della sua vita, essendo novantenne e sulla sedia a rotelle, devo stringerla forte per sollevarla e depositarla sul letto, e lei mi ringrazia guardandomi come fossi ancora il suo bimbo di un tempo).
La seconda volta che ho incontrato i genitori di mia moglie è stato due anni dopo (effettivamente le visite ai parenti della Val Trompia non sono mai state molto frequenti), quando siamo andati a Sarezzo per comunicare la data del nostro matrimonio: mi ricordo la gioia di tutti, la felicità di papà Francesco era addirittura straripante, aveva modo di portare all’altare la sua figliola che poco aveva conosciuto; ma purtroppo come spesso capita nella vita, dopo una grande gioia segue un terribile avvenimento: un mese dopo la nostra visita, il padre di mia moglie è stato stroncato da un infarto, aveva appena compiuto 59 anni e così il nostro matrimonio,  che sicuramente fu una cerimonia stupenda, fu però velato da un manto di malinconia a causa di una assenza così importante.
Anche se non ci siamo molto frequentati, negli anni con i parenti di montagna (io li chiamo così), è cresciuto un buon rapporto affettivo, quando pranzavamo con loro ed eravamo tutti a tavola, notavo gli sguardi di mamma Brigida: osservava continuamente mia moglie con un tale amore che non riesco a mettere su carta; i suoi occhi contenevano gioia e melanconia, forse per non averla potuta crescere assieme agli altri figli.

Mia moglie è sempre stata ben consapevole che le scelte dei suoi genitori biologici sono state prese per la sua sicurezza e benessere, non li ha mai incolpati di averla affidata ai nonni, però, nonostante sia sempre stata circondata da grande affetto, nel suo profondo è rimasta una bimba che ancora cerca di crescere.
Mia suocera Brigida non è mai stata molto fortunata in vita sua, nemmeno con la salute, infatti a 67 anni i suoi reni hanno smesso di funzionare quasi completamente costringendola alla dialisi peritoneale, tramite un’operazione chirurgica gli erano stati applicati al ventre due specie di tubi, una sorta di rubinetti; uno di entrata per la soluzione fisiologica e l’altro di uscita per raccogliere i liquidi. Per tre volte al giorno (tutti i giorni) doveva essergli somministrata una enorme sacca di liquido trasparente, unica nota positiva è che poteva farlo senza recarsi in ospedale. Finché a 79 anni le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: mi ricordo quando la primogenita Elvira ci telefonò dagli Spedali Civili di Brescia: “Giovanna, la mamma è gravissima, i medici hanno detto che fra quarantotto ore non sarà più tra noi” –  e così io, mia moglie e mia figlia siamo partiti alla volta di Brescia, con i cuori pesanti come macigni; Elvira ci stava aspettando nella sua stanza, ci disse che a sprazzi era lucida, eravamo attorno al suo letto quando aprì gli occhi, ci volle qualche istante prima che ci mettesse a fuoco e poi: “la mia Giovanna, Valentina amori miei” – così dicendo alzò le braccia con uno sforzo immane come se dovesse sollevare il mondo intero.

Mia moglie e mia figlia si avvicinarono a lei, riempiendogli il viso di baci, poi si rivolse a me che ero rimasto ai piedi del letto: “Giordano, ti voglio bene come fossi mio figlio”, con la mano sinistra mi fece cenno di avvicinarmi a lei, mi prese per un polso, mi tirò giù e quando fui vicino al suo viso con un filo di voce ma in modo limpido e chiaro sussurrò queste testuali parole: “se è vero che lassù c’è un Dio, io sono tranquilla perché in vita mia mi sono sempre comportata bene” – poi chiuse gli occhi ed entrò in una sorta di coma (per addormentarsi definitivamente due giorni dopo). Sono rimasto esterrefatto a quelle parole, ma perché ha voluto confidarle a me? C’erano lì due sue figlie, non poteva affidarle a loro?

In auto, durante il tragitto di ritorno si respirava un’atmosfera pesantissima; mia moglie piangeva sapendo che non avrebbe più rivisto mamma Brigida, mia figlia cercava di consolarla ed io continuavo pensare a quanto mi era stato detto, volevo confidarmi con loro, riferire quelle parole di pace e grande serenità interiore, ma avevo un tale magone che non riuscivo ad aprire bocca. Arrivati a casa ho pensato di parlare con le mie donne alla sera, poi ho rimandato a domani dopo di che mia suocera si è spenta ed ho ritenuto giusto che tutti i suoi figli sapessero del suo testamento spirituale; al suo funerale era mia convinta intenzione parlare con loro, ma tra lacrime e commozione non sono riuscito ad aprire bocca. Sono passati 10 anni dall’ultimo saluto di mia suocera ed io non ho ancora confidato a nessuno quanto lei mi aveva amorevolmente sussurrato, adesso però l’ho scritto, ed è mia ferma intenzione far leggere questa lettera a mia moglie.
Penso abbastanza frequentemente alle ultime parole di mia suocera e mi chiedo: quando arriverà il mio tempo di salutare questa vita terrena (suppongo fra una cinquantina d’anni), io sarò così sereno ed in pace con me stesso da poter lasciar detto ad un mio caro: “se è vero che lassù c’è un Dio, io sono tranquillo perché in vita mia mi sono sempre comportato bene”; –  purtroppo penso che quando sarò davanti al Supremo e Lui sfoglierà il libro della mia vita,  giunto all’ultima pagina, si toglierà un trocol e me lo tirerà in testa, probabilmente, non sbagliando mira.
Giordano

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