Abbiamo paura del dolore, della morte, della vita che ci obbliga a percorrere strade che mai avremmo voluto percorrere. Ci ostiniamo a cercare la felicità dove vorremmo noi, e spesso non la troviamo, mentre arriva da angoli nascosti o temuti, dove mai avremmo pensato di guardare. Cinque anni fa la vita di mio marito, e conseguentemente anche la mia, ha subìto uno sconquasso. Sono stati anni difficili, ma l’attraversare quei sentieri per nulla desiderarti e cercare la strada fra terre incolte ha portato ricchezze inaspettate. E se una lezione abbiamo imparato sulla pelle è stata la necessità di arrendersi a ciò che stava accadendo.
Allenare e poi ancora allenare la resa.
Scrive Jankovic: “Ci è data sempre una seconda possibilità, anche se non come la vorremmo noi. Ma se la riconosciamo, allora possiamo ritornare a sorridere alla vita.”
E lo scrive un uomo che ha visto morire bambini e giovani di leucemia. Lo scrive per aver seguito negli anni le famiglie che avevano subìto una perdita, che avevano attraversato uno tra i dolori più grandi che si possano immaginare.
La mia esperienza, fortunatamente, non è stata così drammatica. Ma attraverso le fatiche delle frustrazioni, dei sentieri obbligati, non desiderati, lontani dalle aspettative, sono arrivata alle stesse conclusioni.
“…tutti condividiamo la stessa trama di eventi in relazione col proprio vicino, in una scala crescente ma indivisibile in cui ogni cosa esiste grazie alle altre. (…)ma se un uomo è in vita questo scambio incessante di relazioni chimiche, emotive, psichiche, familiari… quando non è più vivo cosa diventa? (…) Anche da non vivo, resta scambio e relazioni, nei suoi geni che vivono nei figli, nei suoi esempi e ricordi che riemergono a distanza in chi lo ha amato, nelle persone che si appropriano dei suoi pensieri attraverso le sue parole. E l’impronta di queste scie è più viva che mai perché produce effetti reali in chi ne è affetto. Ognuno di noi, chi più chi meno, innesca una rete di onde affettive che si propaga oltre noi, senza che noi lo sappiamo o lo vogliamo, in alcuni casi si ferma ai nostri congiunti, in altri va ben più in là.(…)E non è questa una rete sconfinata di amore, in cui ogni nodo si tiene assieme al vicino per propagare una fiducia inebriante nella vita? Non è questo un contagio salvifico che esalta quanto di meglio ha l’essere umano?”
Oggi io mi sento così. Parte di una rete di relazioni, incontri, scambi. Sono connessa con tutte le persone con le quali -a diversi livelli di vicinanza e intensità- è avvenuto e avviene un dialogo autentico: sono tutti con me, e io con loro. Mi sento ricca di tanti doni ricevuti e dati, sono felice per il calore degli affetti che vivo.
È un sentire, oltre che una visione della vita, che mi rasserena e mi fa essere fiduciosa. So bene che tutto può succedere nella vita, so che incontrerò altre paure e dolori, ma ne sono un po’ meno spaventata. Affronto i giorni con una fiducia più matura e profonda, e vivo l’oggi senza smanie, fluendo con quel che c’è.
“… E qui io cammino guardando, guardando, senza fiato.” (Castaneda).
Meraviglia e bellezza mi accompagnano.