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OCCHI NERI

Come ho già avuto modo di scrivere, l’anno militare è stato per me di fondamentale importanza, mi ha dato modo di conoscere molte persone che hanno contributo alla formazione del mio carattere. Sotto naja, essendo autista, passavo molto tempo fuori dalla caserma (che era situata a Fano, meraviglioso posto di mare); avevo fatto conoscenza con il capostazione, andavo spesso con il camion a caricare i viveri dai vagoni ferroviari, e quando lui mi vedeva manovrare fra gli angusti spazi dei binari, veniva a dirmi di lasciare la strada ferrata come l’avevo trovata. Ci teneva moltissimo alla pulizia della stazione e se vedeva qualcuno buttare per terra qualcosa, lo ammoniva subito minacciandolo di spaccargli in testa la paletta se non lo avesse raccolto immediatamente; aveva tutta la mia ammirazione, con certe persone bisogna fare così.
La porta carraia della caserma era sul lato opposto della porta centrale (dove si entrava a piedi), quando si suonava il campanello per rientrare con un mezzo, ora che la guardia armata di fucile percorresse tutto il piazzale, ci volevano 10 minuti buoni, e così nell’attesa che mi aprisse la porta, scendevo dal mezzo, mi accendevo una sigaretta ed ammiravo le bellissime ragazze che passavano sul marciapiede (a Fano le belle donne non mancano di sicuro), sul lato opposto della caserma, dall’altra parte della strada, era da un po’ di tempo che notavo una ragazzina fare delle straordinarie evoluzioni su un monopattino (la tavoletta con 4 rotelle), la ammiravo a bocca aperta, pensavo: “se dovessi mettere io un piede su quella tavoletta, mi romperei l’osso del collo”.

Una volta la stavo osservando e lei si girò verso di me, mi guardò parecchie volte finché attraversò la strada e me la ritrovai davanti: “ciao soldato”, “ciao bellissima”, aveva i capelli e gli occhioni nerissimi, la carnagione olivastra, il nasino all’insù ed i lineamenti molto sottili; “posso sapere il tuo nome bella fanciulla?”, “Mi chiamo Marta, ho 9 anni ed ho appena finito la quarta elementare, tu soldato come ti chiami?”, “Giordano e sono bresciano, io le elementari le ho già finite tutte”, “per essere un militare non hai la faccia da duro”, “ le apparenze ingannano, in caserma mi chiamano Gio la belva, vero maresciallo?” (Mi rivolsi al maresciallo Tedone che era sulla Jeep), “Si, Gio la bestia ti chiamano”, la bambina fece una gran risata e ritornò dall’altra parte della strada; “maresciallo, ma che figura mi fa fare davanti ad una bambina?”, “Quella bella fanciulla abita in quella villa arancio con davanti quello splendido giardino, sua mamma è la Venere di Fano, la donna più bella della città, e fa il mestiere più vecchio del mondo”, “caspita, la prostituta?”, “È una escort di altissimo livello, nella sua villa girano personaggi di gran rango, non si sa chi sia il padre della bambina, lei è molto possessiva nei suoi confronti, Giordano, forse è meglio se gli giri alla larga”, “maresciallo, è stata lei che è venuta a salutarmi”. Nei giorni a seguire, ogni volta che la piccola Marta mi vedeva, attraversava la strada per venire a parlarmi e compiere evoluzioni sul suo skateboard, finché un mattino arrivò sua madre di gran carriera, era altissima, di una bellezza esagerata, capelli lunghi, ondulati, biondi, con occhi blu-verdi, sembravano gioielli incastonati in viso, le sue curve facevano inesorabilmente uscire di strada, mi arrivò davanti: “Senti soldato, per prima cosa non voglio che Marta parli con degli sconosciuti, ed in secondo luogo non voglio che attraversi la strada, e se lo fa è per colpa tua”, “Signora, lei ha perfettamente ragione, io la capisco, ma non posso impedire alla bambina di venire a salutarmi, io glielo dico sempre di stare attenta ad attraversare”, “Bada ragazzo, se gli capita qualcosa ti riterrò personalmente responsabile”; – se ne andò prendendo per un braccio la ragazzina.

Ogni volta che Marta mi vedeva davanti alla porta carraia, attraversava e scambiava due parole con me, un giorno mi chiese se ero fidanzato; “No, sono libero”, “allora quando io sarò grande mi potresti sposare”, “caspita Marta, mi andrebbe di lusso, sei bella, simpatica, intelligente, ma tu devi sposare uno della tua età”, “ io non ho amici, nessuno mi vuole, io sono una figlia di puttana !”, quelle parole mi gelarono il sangue, mi guardava con i suoi occhioni neri, in cerca di risposte che non seppi dare, rimasi muto e sgomento e lei se ne andò. Continuavo a pensare a quanto mi aveva detto la bambina, povera piccola, chissà quali umiliazioni doveva sopportare. Qualche giorno dopo, venne a mostrarmi delle nuove evoluzioni che aveva imparato, era velocissima, io le gridavo “Piano piano, stai attenta”, c’era una radice di una pianta che usciva dalla superficie del marciapiede, fece un volo terribile, cadde in avanti, andai subito a tirarla su: ”Marta, mi dispiace moltissimo, appoggiati a me”, aveva un ginocchio che sanguinava veramente tanto, allora tirai fuori il mio fazzoletto e glielo misi sulla ferita, i lacrimoni che scendevano dai suoi occhioni gli rigavano le guance, ma non singhiozzava, piangeva in silenzio; dall’altra parte della strada sua mamma aveva assistito alla scena, arrivò furibonda, mi guardava come una leonessa in procinto di sbranare la sua preda: ”Cosa è successo? L’avevo detto che si sarebbe fatta del male, adesso sarai contento o vuoi che si rompa anche la testa?” – “Signora, sono mortificato, Marta è una bambina adorabile, sensibile, intelligente è stupenda ma è sola come un cane, non ha amici, e non è sua la colpa !!!”. La leonessa non ruggiva più, mi fissava con gli occhi pieni di rabbia e stupore assieme finché: ”andiamo a casa Marta, ti medico il ginocchio”, prima di attraversare la strada si girò, allungò la mano verso di me (pensavo mi volesse dare un cazzotto), ed invece: ”dammi il fazzoletto, te lo lavo”. Un paio di giorni dopo venne a restituirmelo: “l’altro ieri sono stata sgarbata, ma quando succede qualcosa alla mia bambina, vado fuori di testa, Marta è tutta la mia vita, mi rendo conto che non posso tenerla chiusa in una cassaforte, perciò quando gioca da questa parte della strada, dagli un’occhiata tu, lei è sempre così distratta”, “va bene Signora, per me è un piacere, è una bambina così simpatica”. Mi salutò e ritornò alla sua villa. Quasi tutti i giorni Marta veniva a fare una chiacchierata con me, mi chiedeva della mia fattoria, quanti animali avevo, se i trattori erano davvero così grossi, era veramente curiosissima, com’era giusto che fosse per una bambina della sua età. Arrivò il momento del congedo, a Marta non avevo mai nominato che di lì a poco, sarei andato a casa per sempre, non volevo vederla soffrire, anche se naturalmente non potevo andarmene senza salutarla, e così gli scrissi una lettera che lasciai nella sua cassetta della posta: “Carissima fanciulla dagli occhi neri ma dal sorriso di sole, ti scrivo poche righe per dirti che sono tornato per sempre alla mia fattoria dai miei animali, non ho avuto il coraggio di dirtelo di persona, non volevo vederti soffrire e non volevo farmi veder piangere davanti ad una bambina, che razza di soldato sarei stato? Ti prego, non essere triste, sono sicuro che molti ragazzini ti faranno la corte, sei troppo bella e dolce per non essere corteggiata, ti abbraccio forte forte, salutami la mamma.
Firmato: Gio la Belva (o la Bestia, decidi tu).

Adesso Marta avrebbe 47 anni, mi viene in mente spesso quella splendida bambina sempre sola, non so cosa darei per poterle parlare una volta, sapere se è riuscita a realizzare i suoi sogni, anche se in cuore mio, sento che la vita gli ha sorriso.
Giordano

MARTA
Ti ammiravo da lontano
mentre “volavi” sulla tua tavoletta,
Un attimo dopo mi sei comparsa innanzi
col tuo splendido sorriso che faceva disegnar
simpatiche fossette sul tuo bel viso.
I tuoi occhioni neri sembravano un abisso,
scuri come una notte senza luna e senza stelle,
così in contrasto con la luce del sorriso.
Ciao soldato, mi dicesti, volevi parlare
con qualcuno, svelare i tuoi segreti…
Io ti ascoltavo piccolina,
mentre svuotavi il tuo fardello,
pieno di pietre che in tanti ti han tirato,
di pregiudizi, di dita puntate
come lame di coltello che il cuore ti han ferito.
Ti ho vista un po’ più sollevata
nei giorni a seguire, contenta di poterti confidare finalmente con qualcuno.
Nei tuoi occhioni scuri
qualche stella aveva dimorato,
sfrecciavi, piroettavi, v
olteggiavi sulla tua tavoletta a rotelle,
Leggera come nuvola, come alito di vento
che nulla può contaminare.
Fanciulla cara, ti penso spesso sai?
Anche se di tempo ne è passato,
io non ti ho mai scordato,
quante volte mi son chiesto:
Sarà riuscita a domare la vita
come fosse la sua tavola a rotelle?
Io ne sono certo, a questo mondo tutto gira,
e se all’inizio il bene ti è mancato,
poi sicuramente,
tutta la vita ti ha accompagnato.
Giordano

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