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CARLA FRACCI

Da quando sono nato ho sempre sentito parlare della mitica Carla Fracci, (scomparsa il 27 maggio 2021), perché i nostri parenti di Volongo (Cremona), paese che dista 3 km dal mio, sostenevano fosse nata in una cascina vicino alla loro; in realtà la grande Carla, era nata in una popolarissima casa di Milano, e poco prima della seconda guerra mondiale, si era trasferita (all’età di 3 anni), con i genitori dai suoi nonni materni, a Volongo. A nascere in questo piccolo paese cremonese (nel 1942), era stata la sorella Marisa, perciò quando i miei parenti Volonghesi, sostengono che una Fracci è nata vicino a loro, non hanno tutti i torti. Il papà Luigi parte per la seconda guerra mondiale sul fronte russo, lasciando la sua famiglia a Volongo, in un piccolo vecchissimo cascinale di proprietà dei suoceri, nonostante la povertà regnasse sovrana, la piccola Carla trascorrerà 4 anni fra i più belli e spensierati della sua esistenza, libera di correre per i prati, aveva fatto amicizia con i pochi animali presenti nella fattoria: in stalla un paio di mucche, qualche gallina, anatre e delle oche che lei ogni mattina accompagnava nel campo vicino per farle mangiare.
La nonna Argelide, le aveva cucito un paio di bambole di pezza, unici giochi della sua infanzia, da cui lei non si separava mai, si era affezionata moltissimo a questa nonna, che era sì autoritaria, ma dal cuore immenso, le aveva insegnato i basilari principi della vita: il rispetto per gli animali e la natura, essere altruisti anche nel poco (a volte la nonna regalava un paio di uova a famiglie che avevano meno di loro), la gioia di vivere senza pretendere la luna. Nel periodo invernale quando il freddo era più intenso, non potendo tenere sempre acceso il camino, la legna non sarebbe stata sufficiente per tutto l’inverno, Carla e la sua famiglia passavano la notte in stalla, assieme agli animali, che in questo caso fungevano da termosifoni.

Molte famiglie contadine facevano cosi, c’era molta povertà, ma stando riuniti tutti assieme, si accrescevano i rapporti umani, si parlava tutti assieme e le persone più anziane raccontavano tante splendide storie che i bambini ascoltavano incantati. La cascina di nonna Argelide, aveva il tetto malandato e quando pioveva l’acqua filtrava al suo interno, era venuta a conoscenza tramite parenti, che nel paese vicino c’era un muratore abilissimo a sistemare le tegole senza sostituirle, i soldi erano pochi e non poteva comperare dei coppi nuovi; ed ecco che entra in gioco mio zio Ammirato, titolare assieme ai fratelli di una piccola impresa edile, nonostante fosse giovanissimo, la sua fama lo precedeva, gli era stato affibbiato un appellativo: el gatt re dei copp (il gatto re dei coppi), perché aveva un’abilità felina nel muoversi su i tetti e a sistemare le vecchie tegole. Quando fu avvisato del lavoro che c’era da fare a Volongo, partì, arrivò alla cascina di nonna Argelide, fece un sopralluogo per avere un idea sul da farsi, gli fu raccomandato di contenere le spese e tre giorni dopo di buon mattino iniziò i lavori.

Mio zio aveva un’abilità nel muoversi su i tetti straordinaria (io ho potuto constatarlo quando sistemò le tegole della nostra cascina); verso mezzogiorno nonna Argelide lo chiamò per il pranzo e così ebbe l’occasione di sedere a tavola assieme ai componenti della famiglia di Carla, lei all’epoca aveva circa 5 anni, era piuttosto gracile e molto carina, quando mio zio le chiese cosa voleva fare da grande gli rispose: la parrucchiera. Poi risalì sul tetto e a sera finì il lavoro, come gli era stato chiesto, sistemò i coppi senza metterne di nuovi e quando nonna Argelide gli chiese: “quanto ti devo Mirato?” – “Signora, mi avete tenuto qua a mangiare, io sono già a posto così” – “ma per Dio, hai lavorato come un bue, ci mancherebbe che vai a casa senza niente”. Prese una gallina, gli legò le zampe e la porse ancora viva a mio zio: “tieni, con questa puoi fare del buon brodo”. Quando Carla ebbe 7 anni, andò a vivere con la mamma e la sorellina da una zia che abitava in una frazione di Gazoldo Ippoliti (Mantova), lì frequentò le scuole elementari e quando nel 1946 finì la seconda guerra mondiale ed il padre, che inizialmente era stato dato per disperso tornò, ripartirono per Milano ove risiedettero per sempre. Il resto della storia è più o meno nota a tutti: il padre diventò tramviere e quando portava la figlioletta Carla presso il circolo ricreativo dell’ATM (l’azienda di trasporti che lo aveva assunto), questa appena sentiva la musica cominciava a danzare e piroettare e così alcuni amici gli consigliarono di iscriverla presso la scuola di danza della Scala di Milano.

La giovane Fracci in questa scuola non si trovava bene, era abituata ai grandi spazi aperti della campagna da dove proveniva e nella scuola si sentiva in gabbia, ma tenne duro e cominciò ad allenarsi con sempre maggiore caparbietà. La danza era nel suo DNA ed i risultati arrivarono molto presto, la sua fama cominciò ad ingrandirsi a dismisura, tutti i teatri la richiedevano e quando andò ad esibirsi presso il teatro di Firenze interpretando un’opera diretta dal regista Beppe Menegatti, si innamorò di lui. Un amore grande, immenso che durò tutta la vita; ma quel che pochissimi sanno, è che Carla Fracci si volle sposare nella piccola Chiesa di Volongo, paesino dove aveva trascorso i più belli anni della sua infanzia. Ed io, ho una testimone di questo evento, mia cugina Battistina, la figlia di mio zio Ammirato (il muratore che aggiustò il tetto della cascina di nonna Argelide). Era il 1964, mia cugina aveva 19 anni ed assieme ad una sua cara amica andarono in bicicletta ad assistere alle nozze della famosa ballerina; tutti gli abitanti di Volongo erano a conoscenza di questo evento, c’erano molte persone, ma nessun giornalista o paparazzo.

Carla Fracci non aveva reso noto né la data né il luogo del suo matrimonio, avevapreferito una cerimonia sobria, senza il clamore della stampa; arrivò su una bella macchinona scura seguita da diverse auto ma non tantissime, c’erano solo i parenti ed amici più stretti. Un grande applauso la accolse quando scese dall’auto, e lei nel suo bel vestito bianco salutò con un ampio cenno della mano; quando tutti gli invitati furono in chiesa, chiusero le porte. Uscirono poco più di un’ora dopo, la Fracci ed il suo sposo furono accolti dal lancio di molti fiori, era bellissima, un sorriso raggiante illuminava il suo candido viso, salutava e ringraziava tutti, passò poco distante da mia cugina che la descrive con due sole parole: semplicemente splendida! Se la grande Carla Fracci ha voluto suggellare un momento così importante della sua vita nel piccolo paesino di Volongo, devono esserci dei motivi grandiosi, probabilmente legati ai quattro anni passati nella cascina di nonna Argelide, una donna dal carattere forte, altruista che le aveva insegnato anche nella povertà più estrema il dono dell’amore, non solo verso le persone ma anche rivolto agli animali della fattoria, anch’essi parte integrante della famiglia.
La straordinaria Carla era sì tra le più grandi ballerine mai esistite, ma il suo cuore e le sue radici erano sempre rimaste piantate nelle sue umili origini; un insegnamento questo, che dovrebbe far da scuola a tutti noi.
Giordano

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