Il massacro di Hama fu la conseguenza di una feroce azione repressiva scatenata dal Presidente siriano Hafiz al-Asad contro gli insorti della città di Hama nel febbraio 1982. Il numero dei caduti è stato stimato tra i 35 000 e i 45 000 di cui 1 000 soldati, dovuti alla repressione di un’insurrezione organizzata dai Fratelli Musulmani che avevano dato il via già negli anni precedenti a una lotta armata contro il regime ba’thista. Il 2 febbraio 1982 la popolazione di Hama, in stragrande maggioranza sunnita, guidata da 150 ufficiali, insorse contro il Presidente alawita al-Asad, come reazione a una serie di arresti di elementi sunniti. Nei quattro giorni in cui ebbero il controllo della città, vennero uccisi circa 300 militanti ba’thisti e i militari di un’unità di paracadutisti inviata dall’esercito. Le forze armate siriane, organizzate e guidate, secondo indiscrezioni, dal fratello stesso del Presidente, Rifa’at al-Asad, replicarono con un durissimo assedio e lo spietato bombardamento di Hama, durati 27 giorni, nel corso dei quali praticarono la politica della “terra bruciata” su un terzo della cittadina — che vantava numerosi gioielli architettonici, per lo più d’età zengide e ayyubide — che venne di fatto raso al suolo.
Nell’abbandonare la città, l’esercito e le forze di sicurezza del regime si abbandonarono a massacri sanguinosi persino all’interno delle varie colonie di rifugiati politici ospitati all’interno di Hama, torturando e giustiziando gli oppositori politici, veri o presunti, della dittatura. Tale avvenimento fu conosciuto con grave ritardo dall’opinione pubblica mondiale, visto il ferreo controllo censorio operato dal regime siriano su tutti i mezzi d’informazione, d’altronde distratti dalla contemporanea guerra in Libano. La repressione fu descritta come «l’atto singolo più letale messo in atto da un governo arabo contro il suo stesso popolo nel Vicino Oriente moderno»
Robin Wright, Dreams and Shadows the Future of the Middle East