Questa è la storia vera di una buona e bella ragazza, nata, cresciuta e sempre vissuta a Remedello Sopra, un piccolo borgo che, a quel tempo, finiva a “Cantarane” e, dopo l’azienda del “Bonsignori”, si estendeva in prati e campi coltivati. Proprio lì, a nord – ovest sorgeva (e c’è ancora) …lungo una stradicciola che costeggia la “Madonnina”, la cascina “Prandaiola”. Qui, l’8 dicembre del 1943, vide la luce una bambina, secondogenita della diciottenne Velia Bersi e del maturo marito Stefano Andaloni, da tutti conosciuto come “Gino Barbel”.
La giovane puerpera, che solo due anni prima aveva subito la dolorosa perdita della piccola Diana, desiderava chiamarLa “Loredana” ma, essendo giorno dell’Immacolata la “levatrice”le impose il nome di “Maria”.
S’era in pieno clima di guerra; la piccola cresceva sana e vivace, mentre nel mondo incombeva il più grande conflitto della Storia: bombardamenti, stermini, massacri…
Nelle campagne si sopravviveva… anche se i raccolti erano ridotti, un’economia di sussistenza salvaguardava le grandi famiglie patriarcali, garantendo il cibo quotidiano con fatiche e privazioni. Sull’aia giocavano i bimbi, quel giorno… Era stato organizzato un grande focolare con un pentolone colmo d’acqua bollente per cuocere oche e polli spennati, le cui carni avrebbero assicurato cibo per tutto il lungo inverno. Una svista…un incidente…la piccola Mariella cadde rovinosamente!
Pare ancora che riecheggino nell’aria le urla delle donne, il rumore del ferrare dei cavalli, incitati a correre per trasportare quel corpicino, gravemente ustionato, sopra un carro che percorreva, su ruote traballanti, attraverso strade sterrate, la via che portava a Brescia.
S’immaginano gli occhi appannati di lacrime e terrore di una giovane madre che stringe al petto la sua bambina; il silenzio attonito di un padre che incita i cavalli in quella corsa contro il tempo! E…mentre alla “Prandaiola” si vivono momenti di indicibile apprensione, a poche centinaia di metri, nel grande cascinale “Ronchi di Sopra”, la quotidiana fatica del duro lavoro nei campi procedeva senza sosta.
Molti uomini erano al fronte e mamma Margherita raccoglieva foglie di tabacco, insieme ad altre donne del Borgo, nelle numerose piantagioni del paese e delle zone limitrofe.Vi erano, qui, molte bocche da sfamare, non ultima quella del secondogenito della giovane, l’allora fanciullo Angelo Roveglia. Un ”filo rosso” legava inconsapevolmente il destino delle due cascine…
Risolta la lunga ospedalizzazione, la piccola Mariella ritornò a casa, portando per tutta la vita i segni delle ustioni sul suo corpo.
Esse mineranno inesorabilmente anche la sua salute ossea. Ciò nonostante cresceva bella, allegra, laboriosa e responsabile, nutrendo per quel padre anziano un affetto particolare, tenero e profondo.
Terminata la Scuola Elementare, divenne apprendista presso una sarta del paese, esercitando, così, il gusto all’eleganza, alla precisione ed alla creatività. Giunta all’età di quindici anni, le strade tra la “Prandaiola “ ed i “Ronchi” si incrociarono: Mariella si innamorò perdutamente del giovane, intraprendente ed affascinante Angelo. Un amore durato sessant’anni… un’unione osteggiata dal padre della giovane, ma che lei porta avanti, fino alla fine, avvenuta in un letto d’ospedale dove, in una tiepida mattina di ottobre del 2019, si distende stremata dal dolore, ma con la speranza di tornare a casa “in forze” per accudire il marito, gravemente ammalato da ormai due anni.
Insieme avevano costruito “una grande famiglia”, come lei amava definirla: quattro figli, un maschio e tre femmine, sette nipoti.
Insieme, alla Cascina Ravazzica, avevano vissuto il tramonto dei mitici anni ‘60, che li avevano visti divertirsi, ballare, lavorare e poi gli anni del “boom economico”…
Da soli sei mesi se ne era andata l’anziana mamma di Mariella che, da cinquant’anni, ricordava con nostalgia quel padre che tanto l’aveva amata, morto quando era ancora giovanissima. Il dodici ottobre, nel primo pomeriggio, dopo pochi giorni di agonia, causata da un terribile male, il suo grande cuore ha cessato di battere. Le sue mani, indurite dal troppo lavoro, in quel momento, stringevano dolcemente quelle della figlia maggiore che, amorevolmente lei chiamava “la mia rosa”.
Le ultime parole le ha rivolte alla Madonna, tra le cui braccia si era sempre abbandonata nelle durissime prove della sua esistenza.
Tre mesi e tre giorni dopo calava nella nuda terra, da cui era nato, vicino alla donna che mai lo aveva abbandonato, il marito Angelo.
Era un sabato piovoso di gennaio; sulle note del “Silenzio”, il “Colonnello”, come amichevolmente era soprannominato, aveva cessato di combattere.
Correva l’anno 2020… soltanto poche settimane dopo, sarebbe “scoppiata “una terribile pandemia, denominata “ Covid 19”, che scriverà una delle più angoscianti pagine della Nostra Storia. Quella buona e bella ragazza era la mia mamma e quel giovane affascinante il mio papà. Questa è la loro storia vera.
Margherita Roveglia