E’ morta Rita, la maestra Rita Piva, in un soffio ha salutato la vita nella solitudine di una stanza d’ospedale senza avere la possibilità di sentire il conforto degli amati.
Con lei muore una parte di me.
Con lei muore una maestra, una mamma, un amica, una confidente, una spalla fidata.
E’ sbocciata la primavera, in tutta la sua bellezza prorompente. Sui nostri capi grava copiosa ombra nera. Odore di morte fruscia fra le strade, s’annida nelle vesti, fa rilucere lo sguardo di paura. Ricordi Rita, voglio rivolgermi a te come se ancora fossi viva e potessi solerte rispondere, quando Celeste bussò alla tua porta chiedendoti se il coronovirus potesse essere paragonato all’angelo vendicatore delle dieci piaghe d’Egitto?
Sorridesti, esortandola alla riflessione.
Dolore amaro, fondo, incolmabile quello che in parole si rifiuta di esser tradotto, che non trova e non desidera trovare requie, premura.
Lo stesso insondabile dolore che vuole urlare e lo fa a voce larga, grossa, irruente, vorace, ghiotta. Urla senza veli, che nulla vuole nascondere, nulla celare, pieno manifestarsi, esultare, giungere nei meandri più fondi delle coscienze umane. Non lo comprendo il disegno di Dio, non lo perdono neppure, non oso rivolgergli preghiera o conforto. Ho tanto pregato in queste ore, notte e giorno chiedendo tempo e grazia.
Non è stato ascoltato il nostro grido, muto è rimasto intrappolato fra strette maglie.
Dal nostro primo incontro ci siamo subito riconosciute, abbiamo insieme lottato e sognato, allargato le braccia, riso di gusto, rivolto lo sguardo alla misericordia divina.
Lottato come bestie feroci per un mondo migliore dove l’umanità fosse il perno; dove le persone fragili come Vittoria fossero prese in considerazione, trattate come persone e non come numeri. Mi hai seguita, corretta, nutrita, coccolata, ricondotta sulla retta vita; hai riso e pianto con noi, inseguito sogni, spazzato ombre nere e dense.
Nelle notti di bufera urlanti le nostri voci si sono unite, hanno galoppato sentieri fecondi.
Sono poche le volte nella vita in cui si ha la fortuna di piangere dal profondo, in cui senti l’animo scosso di singulti rabbiosi; in cui chinando il capo altro conforto non trovi se non il vuoto, il nulla. Lo so che mi stai ascoltando, che ammonendo mi ricorderesti che la fede insegna ad aver fede, che nulla viene per caso, ogni cosa ha un perché. Mi diresti che siamo nelle mani del Signore, e che la vita non ci appartiene.
Mi hai insegnato Rita che non si è figli solo perché si è stati partoriti ma in nome dell’affetto, stima, riconoscenza, fiducia conquistata nel tempo. Mi sento orfana.
La legge ci deruba del sacrosanto diritto di stare accanto ai nostri morti, di piangere con loro, di tenergli la mano per l’ultima volta prima che il buio di un baratro fondo ingoi il tutto.
Ti voglio bene Rita, nulla di te andrà perduto, custodito nel cuore rimane segno tangibile per il presente e futuro vivere, eredità per Celeste e per Vittoria. L’ultima volta che riuscimmo a sentirci eri in ospedale con il fiato corto e mi dicesti “Milena, non riesco a parlare, lasciami parlare, sto male, ti voglio bene …”.
Ti abbraccio forte forte, le mie mani possano giungerti indivise, il nostro affetto tenerti compagnia, gli occhi di Vittoria che tanto hai amato indicarti la via. Guidami Rita nella vita, donami forza per combattere, fermezza nell’andare, gioia per sorridere alla vita …Ti voglio tanto tanto bene… dire che mi macherai sarebbe scontato e banale… tu sei dentro di me come l’aria che respiro… ed ancora grazie …
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste