Penso di non aver mai ringraziato abbastanza la mia maestra, Attilia Bettoni, che nel lontano 1980, mi accolse come una figlia insegnandomi l’amore e la passione per la scrittura.
Erano tempi quelli di forti immigrazioni; famiglie intere si spostavano alla ricerca di un lavoro che potesse offrire sicurezza e serenità.
Erano tempi di grande sviluppo economico; ovunque s’ergevano cantieri, palazzi, fabbriche accoglievano a bracci spalancate nuova manovalanza.
Noi fra loro; io piccina, di soli 6 anni; occhi grandi quanto bracieri, tremore diffuso, vogliosa curiosità.
Giovane, mia madre, se pur colta da malattia, ancora agile e scattante, ripuliva, riordinava, sistemava con cura il bagaglio. Tutt’attorno crocchi d’infanti rallegravano l’aria condendola di frenesia quieta.
Era forte, impregnante, l’odore di latte che aleggiava nell’aria; penetranti i muggiti di vacche che dall’alba al tramonto facevano capolino da ogni dove. Giunse l’autunno, in breve ogni cosa assunse colore e forma diversa; persino gli odori sembrava volessero mischiarsi con il dolce dei grappoli maturi che pendevano generosi nei tanti vigneti sparsi or qua or la. Con il cadere delle foglie l’apertura delle scuole. Mondo nuovo da affrontare, scoprire, digerire, conoscere.
Impatto doloroso il primo gesto che ci unì. Lacrime amare coprivano gote; in un angolo me ne stetti per intere mattine, sconsolata, disperata, non accettando aiuto da nessuno tranne che dai miei cugini Giustina e Girolamo ai quali, nella mia lingua, imploravo di poter far ritorno a casa.
Era la lingua italiana che non comprendevo, le parole giungevano all’orecchio come dardi dinnanzi ai quali restavo immobile, pietrificata.
Mia madre al rientro intensamente mi fissava dritto nel cuore puntando il dito, ammonendo, scuotendo il capo. Ci volle tempo ed ancora tempo prima che abbandonato l’angoletto prediletto mi avvicinai al banco, osai sedere, ascoltare, cercando con tutta l’anima di capire quello che mi veniva chiesto.
Fu Attilia, nel tempo giunsi a chiamarla “mamma” che seppe dolcemente aprire le braccia, accogliermi, poco alla volta introducendomi nel meraviglioso mondo del sapere.
Lottai disperatamente, leggevo giorno e notte, ritagliavo sillabe e consonanti dai giornali per formare parole, ascoltavo, assorbivo con avidità.. il sonno mi sorprendeva con il naso infilato in un libro …
Diligenza e passione mi portarono in breve tempo ad essere una fra le prime della classe, sempre pronta a lavorare con solerte impegno.
Furono di grande aiuto i compagni di classe, mi facevano sentire parte di loro… come dimenticare Michele Tosini, Aberto, Marzia, Giovanna, Michele Assetti, Michael, Andrea Dal Bo, Andrea Bertocchi, Simona,Giustina, Giulia,Gino….
Le stesse mamme erano premurose e cortesi, pronte ad offrire appoggio e supporto.
Se oggi ho la capacità di scrivere e di comunicare emozioni, dolori, speranze, tremori lo devo di certo al buon Dio; a mia madre che seppe starmi accanto e sostenermi ed alla carissima maestra Attilia Bettoni che ringrazio di cuore, dal profondo dell’animo.
Prima del suono dell’ultima campanella negli ultimi dieci minuti aveva la buona abitudine di leggerci ad alta voce “Il vecchio ed il mare” con una tale delicatezza ed espressività che mi pareva per pochi istanti di andare lontano lontano, di sentire la passione e l’ardire del vecchio pescatore, di perdermi nelle grosse profonde rughe del suo volto per poi ritrovarmi piccina con gli occhi ricolmi di meraviglia…
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste