Che straordinario personaggio era mio padre, piccolo di statura, ma dentro di sé aveva una gigantesca carica di energia; era un po’ come un candelotto di dinamite.
Ha sempre avuto nei miei confronti un amore smisurato, ancora oggi mi chiedo il perché di così tanto bene, visto che non ho mai fatto niente di eccezionale, sono stato sicuramente amato al di sopra dei miei meriti; di questo gli sarò sempre grato, mi ha aiutato a crescere sereno; l’amore è il concime della vita.
Essendo una persona molto schietta (non le mandava mai a dire), a volte c’erano delle discussioni con i nostri vicini di campo, del tipo:
< l’ultima volta che hai arato il terreno sei venuto di qua un metro, la prossima mi vieni direttamente in cortile?>, cose di questo genere.
C’era il signor Antonio fra i confinanti dei nostri terreni, un agricoltore che tutti noi stimavano molto perché era un coltivatore innovativo. Ogni volta che passava con il trattore dietro la nostra cascina, si fermava sempre a fare quattro chiacchiere con noi, mio padre, essendo un agricoltore moderno, gli chiedeva delle ultime novità; come ad esempio il concime a lento rilascio e i nuovi sistemi di irrigazione per risparmiare acqua.
Un giorno il signor Antonio chiese a mio padre: <Attilio, domani pomeriggio tre camion bilico devono venire a caricare le mie barbabietole da zucchero vicino ai vostri campi; possono passare vuoti per la tua stradina ed uscire carichi dalla mia cappezzagna?>, – < si che possono, l’importante è che entrino vuoti dalla mia strada, sai c’è un pontile da attraversare, non vorrei cedesse sotto il loro peso>. ll giorno dopo verso le 18,00, io e mio padre eravamo nel cortile quando vedemmo i tre bilici che stavano uscendo carichi dalla nostra strada e cioè avevano fatto esattamente il contrario di quanto stabilito; mio padre saltò in sella alla sua bici Bianchi, nonostante avesse già superato ottant’anni, partì ad una velocità da giro d’Italia; in men che non si dica era già sul posto, fiondò la bici nel canale di cemento e si mise in mezzo alla strada a braccia aperte, pronto a fermare i pesanti mezzi, nel frattempo arrivai anch’io; il primo camionista si fermò; <che minchia fai? Devo passare!>, (intuii che gli autisti fossero siciliani ), <da qui dovevi entrare vuoto, non uscire carico, perciò non passi>. Dietro ai tre camion, sul suo trattore, c’era il signor Antonio, che venne a parlare con noi.< Attilio cosa fai? Perché li hai fermati?>
<Perché non hai mantenuto la parola data! Perciò adesso tornano indietro in retromarcia>. – <Ma se tornano indietro ripassano carichi un’altra volta sul vecchio pontile>. <Papà in questo senso Antonio ha ragione, che logica ha farli ritornare indietro? Ormai sono a 30 metri dalla strada principale>
<E’ una questione di principio, per me una promessa è come uno scritto, perciò vanno in retromarcia>. Antonio spazientito, telefonò al sindaco del nostro paese che arrivò in meno di 15 minuti; dopo essere stato messo al corrente della situazione disse a mio padre: <Attilio, non puoi fermare una strada, ti devi spostare>. – <Signor sindaco, hai letto il cartello che c’è all’inizio del sentiero? C’è scritto STRADA PRIVATA, perciò essendo una cappezzagna che io ho creato su i miei campi, loro tornano indietro>. Nel frattempo una decina di persone che abitavano nelle cascine lungo la nostra via, si erano fermate per vedere cosa stava accadendo. Il sindaco minacciò: <adesso telefono ai carabinieri>. <Si, chiama pure la polizia, la guardia di finanza e i pompieri; così faccio leggere il cartello anche a loro>.
L’autista del primo camion perse la calma, cominciò a bestemmiare nel suo dialetto, accelerò il motore in modo smisurato e dopo aver urlato: <minchia ti passo sopra>, ingranò la prima e andò avanti; mio padre a braccia aperte, andò a sbattere tre, quattro, cinque volte contro il muso del camion; di fronte a quella scena, mi si gelò il sangue, sentii il cuore che stava per esplodere, mi si annebbiò perfino la vista; il sindaco e le persone presenti urlavano: <Tilio, Cristo Santo ve via’, spostet>.
A quel punto rinvenni, pensai: <Adesso lo prendo per un braccio e lo trascino via>, ma l’autista del bilico si fermò, scese dal camion; ho pensato: <se tocca mio padre lo stendo>, invece si mise davanti a lui e disse solo una parola: < MINCHIA!!!>; poi andò a parlare agli autisti dei due camion che erano dietro dicendogli: < io non vado avanti, forza facciamo la retromarcia>. – <Ma sei impazzito? È più di un chilometro in mezzo alle stradine dei campi, quanto tempo ci impieghiamo?>, <Impieghiamo il tempo che serve>. Così il signor Antonio salì sul suo trattore, che era in coda e andò indietro seguito dai tre pesanti mezzi. Qualcuno dei presenti urlava: <Tilio ta se en leu’, altri invece dicevano:< ta set mat matent >.
Dopo questo episodio, mio padre e Antonio non si rivolsero più la parola, io, invece le poche volte che l’ho incontrato, l’ho sempre salutato, abbiamo sempre fatto quattro chiacchiere.
Circa tre anni dopo l’epico episodio, nel gennaio del 2016, la salute voltò le spalle ad entrambi: il signor Antonio si ammalò di un tumore e mio padre ebbe dei gravissimi problemi di circolazione sanguigna agli arti inferiori al punto che sul piede sinistro si formò un foro di almeno 5 centimetri, nemmeno con la morfina e le iniezioni antidolorifiche nella spina dorsale, riusciva a trovare pace.
Quando la cancrena iniziò a salire, dovettero assolutamente amputargli la gamba sinistra; a causa del suo debolissimo cuore non poterono addormentarlo; gli tagliarono la gamba in anestesia locale. Io non so dove mio padre andasse a prendere tutto quel coraggio; all’uscita della sala operatoria ci guardò e alzò il pollice della mano destra come a dire: OK, anche questa è fatta. Alla fine di novembre 2016, purtroppo, il signor Antonio andò in cielo; quando all’ospedale lo comunicai a mio padre, rimase sgomento: <Ma porcocane, aveva vent’anni meno di me, il mese scorso mi hai detto che stava migliorando, le cure facevano effetto>.
<Ascolta papà, dispiace molto anche a me, d’altronde come si fa a prevedere il decorso di queste terribili malattie?>.
Lo tormentava il fatto che non potesse più riappacificarsi con lui. Dopo 15 giorni, anche mio padre partì per il viaggio eterno; lo fece con il coraggio che sempre aveva contraddistinto la sua vita; al suo ultimo pasto non volle essere imboccato, si staccò l’ossigeno, riuscì a tirarsi su seduto e mangiò da solo; perché lui era un uomo, un piccolo grande uomo.
Per ironia della sorte, le loro lapidi sono attaccate l’una all’altra, il signor Antonio ha una bellissima foto, è sorridente ed è girato verso mio padre e mio padre sembra lo stia ascoltando; sono sicuro che hanno fatto pace, in fondo tutti e due si stimavano molto.
Quando vado al camposanto per aggiornare mio padre sull’andamento della nostra piccola azienda agricola, cosa che faccio mentalmente per non essere portato via con la camicia di forza, mi viene sempre in mente quando lui era a braccia aperte davanti al muso del camion, sembrava il Cristo che c’è in Brasile.
Come sarebbe bello riuscire sempre ad usare il buon senso, anziché trincerarci dietro a delle stupide questioni di principio.
Giordano