“Il fatto è che sono arrabbiata, tanto arrabbiata. Non riesco a spegnere quest’emozione dentro di me. Ci provo perché non mi fa star bene, non mi aiuta; è un disco rotto, che s’incanta sempre sullo stesso solco: non doveva andare così, non doveva andare così…
E poi ce l’ho col mondo intero, non sopporto nessuno, trabocco acidità e insofferenza mentre sorrido e cerco di mantenermi civile. Perché mica posso riversare sugli altri tutte quelle tossine che già stanno intossicando me. Non voglio farlo. Ma sono stanca, proprio stanca. Vorrei solo che qualcuno si occupasse di me e mi dicesse che posso stare tranquilla, che non mi devo preoccupare. Ma è inutile perdersi nelle favole. La realtà è che non sono affatto tranquilla e sono preoccupata.”
Guardo la donna seduta davanti a me, che continua: “Ci provo, sa? Vado in palestra e mi sfinisco per provare a sfogare la rabbia. Ma niente, lei è sempre lì. Non se ne va via col sudore, e nemmeno con la doccia. Ci provo con la musica. Ho provato anche una lezione di yoga e dopo ero come una molla trattenuta pronta a esplodere. Sono uscita e mi sarei messa a urlare. Forse dovrei provare con le arti marziali.” Sorride.
“Ma come si fa a calmare la rabbia?”
Temo che ci siano momenti in cui non c’è modo di calmarla. È già tanto reggerla senza diventare aggressivi o maleducati.
Non è sempre vero che la rabbia passa sfogandola, spesso si auto-alimenta: più si sta dentro alla rabbia e più rabbia rimane in circolo. Soprattutto -credo- quando a causarla è il senso di ingiustizia, il vedere che la vita va dove non vorresti mai che andasse.
Ma come si fa a calmare la rabbia?
È un percorso controcorrente. Perché richiede di andare contro quella corrente forte che ti porta via; come risalire un fiume. Faticoso, logorante. Impegno spirituale, etico.
Ci sono rabbie che passano velocemente e altre che fanno tana nell’animo. E vogliono star lì. Come non essere arrabbiati con la vita per una malattia, un lutto, un evento che sconvolge la vita? Eppure, seguire quella rabbia non fa bene. Può essere che non riusciamo a fare diversamente, che la rabbia sia l’unica forza che ci spinge ad andare avanti. Però stare nella rabbia, nel tempo avvelena l’animo.
Così bisogna provare a risalire la corrente del fiume arrabbiato, veder scorrere le acque impetuose desiderose di una giustizia impossibile e lasciarle andare. E camminare a testa bassa, impegnando tutte le risorse che abbiamo, sperando che al di là dell’ansa che scorgiamo lontana le acque ritornino tranquille, armoniche.
Allungo la mano. In cordata si procede meglio.
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