Bella mia
Casa…
Io ho abbandonato
Tu sei vuota.
Io non ho più niente
Ma tu sei stata abitata, in te saranno risuonate grida di gioia e parole, risate, canzoni, pianti e urla. Ma io ho vissuto un tratto della mia vita tra grida di gioia e parole, risate, canzoni, pianti e urla di dolore. E amore perduto.
Non ho conservato niente della mia parte di vita precedente, solo questa armonica a bocca che tengo nella tasca di questo giaccone datomi da chissà chi… neanche ricordo.
Ma tu, Bella mia, tu amore mio, ti ho conservata per sempre, sei stata con me, non ti ho mai abbandonata. Sei stata tu a lasciarmi, tu mio primo amore, mio solo amore, senza altro nome che Bella, Bella mia. Quando appoggiavo la mia mano sul tuo cuore mi dicevi che ad ogni suo battito corrispondeva il nome mio e tu, sentendo i miei battiti, dicevi che sentivi il tuo nome sussurrato dal mio di cuore. Poi il tuo, un giorno, di colpo e senza preavviso, si è fermato. Perché? Volevo una risposta, ho urlato a te di riprendere a vivere, di respirare, di guardarmi ma i tuoi occhi erano spenti. Erano socchiusi, quasi a volermi guardare ancora, li ho contemplati belli e lucenti, nei quali mi ero perso mille volte amandoti alla follia; era impossibile non perdersi in quell’oceano nel quale il blu spaziava in ogni sua tonalità, dal turchese al blu notte, due zaffiri di una bellezza indescrivibile, quasi un cielo estivo senza nuvole. Te li ho chiusi con dolcezza. Li ho baciati. Ti ho baciato sulle labbra, sulla bocca che fu la fonte del mio primo amore. Bella, Bella mia, più bella di qualsiasi creatura. Sono quasi impazzito, non so come ho vissuto i primi tempi senza di te. E’ stato allora che ho cominciato a bere, come si suol dire, bere per dimenticare?
Forse è possibile, per qualche ora, poi qualche giorno, fino a quando non sei più un uomo ma un povero essere che si trova neanche più responsabile di quello che fa. Ho perso tutto, non ho più voluto niente per me. Non ho saputo accettare di averti perso così in pochi secondi, ho preso a pugni il mio, di cuore, imprecando e gridandogli di smettere di battere! Che si fermasse! Volevo venire da te! Non mi riusciva di pensare a soluzioni più drastiche. Se ci appoggiavo sopra la mia mano mi sembrava di sentire la tua voce che sussurrava il mio nome. Pazzo??? Sono diventato un uomo senza nome, ne casa, ne amici, ho abbandonato tutto e tutti mi hanno abbandonato. Barbone. Ecco chi sono. Sono soltanto un uomo che ha attraversato la sua vita senza sapere dove andare, un posto o l’altro per me non ha mai avuto importanza. Steso sotto i ponti, su marciapiedi, in riva a fiumi, in prati e parchi ho guardato i cieli sempre vecchi e sempre nuovi con quelle nubi che vanno…
A volte un profumo di donna ha risvegliato in me pensieri e ricordi trasportandomi lontano nel tempo passato con te. Per i miei occhi chiari a volte mi è stato chiesto da dove venissi. Con questa faccia da straniero ero soltanto un vagabondo musicista, suonavo l’armonica a bocca per qualche soldo gettatomi per compassione. Ho ricevuto solidarietà da miserabili simili a me, ho rubato per necessità dando un po’ del mio ad altri come me. E’ stato il tempo ed il sole dell’estate, il susseguirsi delle stagioni a maturare la mia età. Mi sento vecchio, sono stanco, mi trovo qui, davanti a questa casa abbandonata, in vendita ma che credo nessuno comprerà. La porta con il numero diciannove non è chiusa del tutto, potrei entrare da lì e fermarmi, ripararmi dal vento freddo che mi fa rabbrividire. Entro, nella penombra scorgo la sagoma di un camino, c’è buio e davanti al camino… Apro un po’ di più la porta e sul materasso steso davanti ad esso ti vedo. Sei seduta, ma a colpirmi sono i tuoi occhi pieni di terrore. E’ allora che ti saluto.
– “Ciao”.
– “Chi sei?” mi chiedi
– “Uno come te, un barbone, clochard,
ciao barbona!”.
– “Non farmi del male!”.
– “No, non voglio farti del male, ho solo
freddo… era casa tua?”.
– “No, avevo freddo anche io. E tu?
Era casa tua?”.
– “No, smettiamola con questi no!”.
Hai finalmente sorriso. Sei carina, quanti anni avrai? Mi fai posto sul materasso e mi siedo vicino a te. Mi chiedi qualcosa di me e ti racconto della tragedia che d’improvviso mi ha sconvolto la vita e poi del mio grido indignato, urlando di dolore: dove sei Dio? Subito pronto a denunciare l’assenza di una presenza mai prima avvertita! Figuriamoci! Il tempo mancava per tutto quello che volevo fare e trovarne anche per Lui, silenzioso e discreto? Poi ho incontrato un Prete, amico e fratello che me lo ha fatto ritrovare unico compagno di strada lungo il cammino della mia vita. E adesso mi trovo a pensare a Lui, a questo Dio, adesso che sono vecchio e stanco. Piano egli mi ha tolto disperazione, distacco, apatia, capovolgendo il disumano in umano capace di solidarietà e pace. Egli non lascia solo il disperato o l’oppresso, ti dà tenerezza e verità, non ti condanna se tu lo abbandoni, ma Ti ama sempre con delicatezza e compassione, senza egoismo e senza interesse. Dove prima c’era buio, ora c’è luce, ero inquieto ma ora in Lui ho trovato la serenità, in me c’era amarezza, ma in Lui c’era pazienza. Non capisco le sue vie ma Lui sa qual è la mia strada. Ho lasciato fuori i mille altri pensieri per accogliere questo Dio ed amarlo nella pace più profonda dell’anima, dove i sentimenti dell’amore più tenero si formano in segreto e, nella pace divina, tacciono improvvisamente tutte le nostre inquietudini. Se mi guardo indietro mi chiedo come ho fatto a reggere a quello schianto affettivo senza togliermi la vita. Forse perché Lui mi teneva tra le Sue braccia, stretto al Suo cuore anche quando la solitudine, la disperazione, il dolore, mi impedivano quasi anche di respirare. Perché l’uomo soffre? Non lo so, non riesco a saperlo. Mi parli di te, della tua superbia, arroganza, strafottenza, egoismo, il tuo corpo era solo tuo e ne facevi quello che volevi, avevi potere su ciò che volevi fare anche sulla droga. Tu avresti potuto smettere a tuo piacimento, quando volevi, ma era stata lei a dominare te e la tua volontà, lo hai capito troppo tardi, abbandonando tutti e abbandonata da tutti. Distrutta nel corpo e nello spirito, sola, incapace di chiedere aiuto, barbona. E adesso? Siamo qui noi due, stanchi di questa nostra vita vissuta nel nulla, di nulla, tolgo dalla tasca la mia armonica a bocca e suono. La musica culla i sogni, essa è più forte della parola, l’armonia esprime ciò che manca ad ogni linguaggio umano. Tu ascolti rapita, attenta. Un colpo di vento fa muovere le tendine vecchie strappate in alcuni punti, sembrano respirare. Nel grigio del cielo autunnale vedo migrare alcune rondini, veloci, unite, e quelle nubi che vanno…
Smetto di suonare e ti chiedo:
– “Come ti chiami?”
– “Isabella, ma tutti mi chiamavano
Bella!”.
Avvicino la mia mano alla tua, me la stringi e, mentre piangi forse perché da chissà quanto tempo non avverti un contatto sincero, di affetto, mi dici:
– “Non abbandonarmi…”
– “No, non lo farò Bella mia!”.
Marta