Carissimo Gianluca, tempo di vacanze, risuonano di risa d’infanti le vie, sfrecciano rapidi, veloci, fra i capelli il vento della giovinezza.
Questa mattina scorrendo tratti di cammino, dorati i profili dei campi, cocente il sole, d’un tratto, si scorge in un angolo di strada un crocchio di bambini che strettamente abbracciano piccoli tesori esposti sopra un basso tavolino bianco.
Occhi vivi, i loro, zuppi d’incanto e di meraviglia, ai passanti offrono la mercanzia in cambio di pochi spiccioli. Bottino sacro, il loro, a breve diviso in parti uguali per farsi caramelle e dolciumi, gelato cremoso. Un tempo, noi bambini d’altri tempi, si usava fare lo stesso. Ciascuno portava quanto dalla propria abitazione, dalle “granfie” di madri accorte, si riusciva a ghermire, sistemandoli su una tovaglietta bianca dai bordi ricchi. Si studiavano strategie di mercato, prezzi, assaporando anzitempo leccornie deliziose. Era un poggiolo di cemento, il nostro regno, accanto vi scorreva un fosso, poco dietro il grano biondeggiava maturo. Mamme dai grossi grassi grembiuli passavano, un occhio gettavano, un istante sostavano, mascherando il riso sotto seri pigli osservavano, acquistavano un poco contrattando sul prezzo.Generose le nonne, una carezza con lo sguardo donavano, a piene mani ricevevano. La sera si faceva piccina, la calura pesante, ginocchia sbucciate sbucavano da dietro bocche inzaccherate, l’ora bruna invitava al rientro.
Una dopo l’altra accorrevano richiami di madre, solerti facevano i gesti, ricchi di premura nel riporre la mercanzia nelle grosse scatole di cartone, sino a fare i passi corti e rapidi.
Una strigliata di acqua e sapone attendeva, calzoncini immacolati, fragranza saporita nell’aria, odore di pane caldo, sapore di buono fra le labbra si posava. Notte scivolava, fra palmi serrati pochi spiccioli, frutto di “duro lavoro”, all’indomani pronti per farsi gruzzolo da spendere al bancone dell’oratorio dove milioni di barattoni facevano bella mostra, di ogni colore e forma le caramelle che lo sguardo incantavano con dovizia. Anni sono trascorsi, ricordo rimane, immutato per colore e forma, intriso di nostalgia a piene mani lo ridono, come fiore prezioso ne assaporo l’essenza.
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste