Una storia sussurrata
a piccoli passi.
Il giorno dopo
è il giorno della verità.
Mentre aspetto il suono della campanella individuo la madre di uno dei ragazzi più grandi. Mi scuso per l’invadenza, mi presento e le chiedo se può chiamare il figlio. Il ragazzo a guardarlo da lontano si presenta molto più grande della sua età e potrebbe frequentare la terza classe. È molto alto almeno un metro e ottanta ed ha un fisico corpulento, capelli mossi ed occhi scuri. Avanza timidamente scendendo dalla gradinata e scorgendomi con sua madre, si ferma e si gira verso i compagni. Un’ultima occhiata e poi avanza un po’ impacciato. Sto cercando nel suo avanzare lento, di capire, di leggere in qualche movimento la sua colpa.
C’è un modo per iniziare questi discorsi? Io non lo conosco! Non ho esperienza sto cercando le parole, d’altronde non ho prove e chiunque sia stato a spingere mia figlia dalla scalinata, per almeno quaranta gradini, crede che lei non possa parlare. Poi penso che dietro le sembianze di un uomo c’è poco più di un ragazzino. La madre stranamente non mi chiede il motivo della richiesta.
In silenzio attendiamo il suo arrivo. Maria è rannicchiata nel sedile posteriore dell’auto ed è agitata. A lei non posso chiedere se conosce il ragazzino, ma a lui sì.
Il ragazzo finalmente è arrivato e la madre mi precede nella domanda chiedendo al figlio se mi conosce. Senza tentennamenti, il figlio risponde che sono la mamma di Maria dicendo la frase: “Sai… quella bambina…”
Tento ancora di parlare ma la madre freneticamente mi precede. Gli chiede se conosce Maria e come mai la conosce dato che hanno un’età molto diversa; infatti Maria ha undici anni e lui quindici. Mi rendo conto che è un ragazzo ripetente e osservandolo mi porta alla memoria i ragazzi delle classi differenziali degli anni sessanta. Allora, chi aveva problemi di apprendimento, o non studiava veniva inserito in una classe differenziale frequentata da bambini dai sei ai sedici anni, con le conseguenti problematiche di relazione e di autostima. La madre lo incalza riproponendo la domanda. A quel punto il figlio risponde:
– Io con quella faccenda non ho niente a che fare”.
Lo guardo e penso: “Li ho trovati!” Bene, ora li conosciamo ora è finita. Dopo la risposta inizio io a parlare e la comprensione per l’età è svanita e sono furiosa! Domando subito:
– Chi sono gli altri?” Ma come vi è venuto in mente di spingere una bambina indifesa giù dalle scale con premeditazione?
Il ragazzo risponde:
– Me lo hanno fatto fare gli altri, volevamo divertirci a vedere come quel bradipo volasse giù dalle scale.”
Ero furiosa e gli risposi:
– Sei grande e grosso, se io che sono una persona adulta ti incontrassi di sera, in una strada buia con la faccia che hai me la darei a gambe! Quella bambina ha un nome ed è molto più coraggiosa di te. Ha sempre subito le vostre gesta e sentito i vostri commenti sgradevoli e non si è mai lamentata. Ogni mattina si è presentata come un bersaglio mobile ricevendo i vostri insulti. Non vi avrebbe mai denunciati al preside. Siete solo dei vigliacchi! La madre apprende il motivo della mia brusca presentazione proprio in quel preciso momento. La guardo mentre si scaglia sul figlio con male parole e con ceffoni, tanto che nel frastuono non mi accorgo del loro brusco allontanamento e resto seduta sulla gradinata con lo sguardo pensieroso ed attonito. Maria scorge il viso dal vetro interno del finestrino posteriore della macchina. Scorgo i suoi occhi azzurri che mi cercano mentre mi alzo dal gradino e penso che tutto è finito. Sono soddisfatta domani andrò in direzione e mentre mi avvicino alla macchina, mi giro stupita e consapevole che ora la situazione è sotto controllo.
Il giorno dopo mi reco in direzione perché la scuola prenda atto della situazione e successivamente provveda a contattare i tre ragazzi e le loro famiglie. Mi rassicurano chiedendomi nuovamente di non fare troppa pubblicità. I ragazzi saranno richiamati, ma nessuno porgerà delle scuse né a me né a Maria.
Da quel giorno lei non si fermerà più a mangiare nel refettorio che si trova nei sotterranei, preferisco non lasciarla mai sola. Erano proprio il refettorio ed i corridoi dei sotterranei i luoghi dove veniva insultata. Maria nei i tre anni della scuola media non parlerà mai più dei compagni. Riconosce tre compagne che erano nella sua classe alle elementari, ma solo quelle. Degli altri sente il nome quando fanno l’appello ma per lei sono senza faccia.
Mi racconta, che quando riesce finalmente ad abbinare la voce al volto il riconoscimento non dura per molto tempo. Se poi il compagno effettua un cambiamento, anche solo il taglio dei capelli, lo perde e si ricomincia da capo con l’identificazione visiva. Lei possiede un limitato contatto oculare, non guarda mai il suo interlocutore negli occhi. Dice che se incontra lo sguardo degli altri le rubano i pensieri. Non che lei ne abbia di particolari, ma dice che sono solo suoi, non sono condivisibili né spendibili con nessuno.
continua-10