Andai via silenziosamente dalla mia camera dell’infermeria e mi diressi verso l’uscita. Andai dagli uomini della torretta che da lassù con il faro osservavano il campo di notte e chiesi loro:-Die garderobe der gefangenen? (Lo spogliatoio dei prigionieri?)- mi indicarono con il dito dov’era e mi porsero la chiave; ringraziandoli scesi dalla torretta. Raggiunsi la stanzetta aprii la porta ed accesi la luce. Mi spogliai della divisa e indossai quella dei prigionieri, presi una sciarpa dal mucchio di vestiti e mi fasciai il capo in modo che non si vedesse che non avevo tagliato i capelli. Quella notte la trascorsi in quella stanza e, per paura che qualcuno entrasse e mi vedesse, mi nascosi dentro il mucchio di vestiti. La mattina mi alzai, uscii dalla stanza, la chiusi a chiave. Mi venne ordinato di mettere i massi sul camion che poi naturalmente sarebbero stati ributtati giù. Come eravamo insignificanti noi prigioniere agli occhi dele SS, non mi avevano nemmeno riconosciuta! Mentre mettevo i massi sul camion vidi due uomini che discutevano con Ryan. Giunta l’ora del pasto mi misi in fila insieme alle altre; a servire il pasto c’era Ryan che ad ogni prigioniera scrutava il numero tatuato per poi ridere. All’improvviso mi ricordai che non avevo un numero così quel giorno digiunai. La notte la trascorsi in una baracca a dormire per terra perché non c’era posto nelle cuccette, dormivano già in tre per ogni cuccetta. La mattina dovetti uscire per forza dalla baracca e ciò significava che dovevo fare la selezione anche io, era un vero problema se ero priva di un numero, decisi di nascondermi sotto le cuccette.
Quella mattina il Signore mi assistette e la selezione passò liscia. Quel giorno il compito assegnatomi era quello di zappare per terra, ma ero debole, lo stomaco brontolava e mi ricordai che avevo lasciato la mela sul mio comodino della camerata femminile.
Quanto avrei voluto darle anche solo qualche morso. Era arrivata l’ora di pranzo e decisi di mettermi in fila tra le ultime perché alla fine del pentolone c’erano dei pezzi di verdura non tritati. Arrivò il mio turno, Ryan non mi degnò di uno sguardo, per lui i prigionieri erano tutti uguali; allungando la ciotola verso il pentolone come ci ordinavano di fare, la manica della divisa scopriva le braccia e di conseguenza il numero tatuato che io non possedevo. una SS lo chiamò, egli prese una ciotola e mi diede la zuppa, poi corse via velocemente. Non potevo crederci, avevo una ciotola di verdura nelle mie mani senza possedere un numero! Ero tanto felice, ringraziai il Signore, mi sedetti per terra e mangiai. Scorsi Ryan che uscì dalla stanza dove ebbi trascorso la notte nei due giorni precedenti e in mano teneva una divisa nazista: la mia. Lo osservai con occhi caritatevoli mentre percorreva il campo per raggiungere il suo studio.
La sera era il momento di tranquillità, ma era formato da solo silenzio e bisbigli… Una ragazza di fronte a me disse a voce abbastanza alta:-Ogni sera quando tornavo a casa dal lavoro trovavo sul tavolo la lista della spesa che dovevo andare a prendere prima di cenare. Mi arrabbiavo e uscivo con il broncio chiedendomi se mia mamma non poteva farmi acquistare scorte per una settimana invece di farmi uscire ogni sera. Era una cosa quotidiana, di routine insomma. Cose alle quali non si dà mai importanza…- abbassando la voce continuò -come fare colazione, bere un thè in compagnia, svegliarsi e vedere le persone della famiglia, fare sempre la stessa strada per andare al lavoro. Cose che mai avremmo pensato di sentire la mancanza semmai avessimo smesso di fare, ma darei qualsiasi cosa per tornare a rifarle, a dare la massima considerazione ad ogni mio passo, ad ogni mio respiro, ad ogni mio pensiero, ad ogni mio gesto che compivo da persona libera!- Mi addormentai con un sorriso e con le lacrime agli occhi per quel dolce e semplice racconto. Sì semplice, ma maledettamente vero.
continua-20