Imparare a star bene da soli nella vita è una delle sfide più grandi dell’essere umano. Esistono vari tipi di solitudine, quella desiderata, quella indotta e la peggiore nel momento in cui, pur in presenza di persona, ci si sente soli per mancanza di comunicazione, comprensione o per la certezza di non essere capiti.
Spesso la fragilità e la debolezza caratteriale fanno sì che le persone riempiano il proprio vuoto interiore con persone, situazioni e molto altro per sfuggire al confronto con il proprio “io”, con le proprie paure, con i propri limiti.
Al contrario, una persona che ha imparato a star bene da sola, che sa amarsi e confrontarsi con sé stessa, legandosi agli altri, non per bisogno o dipendenza, ma per una scelta lucida e razionale è una persona che ha raggiunto un certo grado di maturità, perché occorre parecchia forza per fare i conti con la propria solitudine e barattarla solo a patto che ciò comporti un valore aggiunto. In questo caso, non ci si circonda più di false presenze, non ci si rassegna a presenze dannose, negative e altalenanti pur di non restare soli. A tal proposito molte le iniziative rivolte ai più piccoli per abituare gli uomini di domani a fare i conti con sé stessi in un mondo, quale quello odierno, rumoroso, talvolta frastornante e la riscoperta delle discipline orientali quali lo yoga, basate sulla meditazione. La solitudine, dunque, può essere vista in accezione positiva, lontana dalla visione negativa di molti e come base per la scelta di una “compagnia di valore”.
Samanta Gabrielli