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In ricordo di Piermario Morosini

E’ sempre triste riportare alla memoria la scomparsa di una persona ma è proprio il ricordo che ci aiuta ad andare avanti nella difficile strada della vita e, soprattutto, ci permette di trasmettere i valori umani di coloro che non ci sono più. A tal proposito abbiamo voluto contattare Diego Guirri, giovane trentenne di Zogno, preparatore atletico professionista di calcio con un recente passato nell’Empoli, coetaneo e amico del compianto calciatore Piermario Morosini che oggi vogliamo ricordare.

Era il 14 aprile di cinque anni fa quando il talentuoso centrocampista bergamasco, cresciuto nel Monterosso, si spense a soli 25 anni al minuto 31 di Pescara-Livorno valevole per il campionato di Serie B.

Diego, come venni a sapere dell’accaduto?
“Ricordo che quel giorno stavo effettuando il riscaldamento pre-gara della mia squadra quando venni a conoscenza della morte di Piermario; dapprima non volli crederci e cercai di verificare la tragica notizia ma non ci riuscii. Al termine della partita mi precipitai subito a casa ed iniziai a passare in rassegna le varie trasmissioni sportive che purtroppo mi confermarono la tragedia”.

Qualcuno sostiene che dal cielo una persona lo abbia voluto richiamare…
“Spesso la vita ci riserva dei misteri che, come dice la parola stessa, sono impossibili da spiegare. Dovete sapere che Piermario a vent’anni aveva già vissuto delle tragedie familiari che a volte, se proprio siamo sfortunati, si vivono in una vita intera; infatti, nel 2001 all’età di 15 anni, la morte gli strappò la madre Camilla, nel 2003, a 17 anni, un brutto male si portò via il padre Aldo, due anni dopo venne a mancare anche il fratello Francesco. Non bastasse tutto questo, Piermario cercava di stare il più vicino possibile anche alla sorella disabile”.

Come vi eravate conosciuti? E cosa ti colpì di lui?
“Ricordo ancora quel momento perché fu proprio la mia grande passione di collezionare maglie ufficiali dei campioni dello sport che ci fece incontrare al centro sportivo dell’Atalanta quando, al termine dell’allenamento, mentre aspettavo qualche giocatore della prima squadra, chiesi lui l’autografo.
Fui subito colpito da tanta umiltà e semplicità che iniziai a seguire passo passo la sua carriera e, quando nel 2005/2006 fu acquistato dall’Udinese, capii subito che ciò che avevo percepito durante il nostro primo incontro veniva messo da Piermario anche sul campo. Sempre corretto, disponibile verso i compagni e i componenti dello staff, sensibile nei confronti di chi gli stava attorno. Era sempre un piacere fare due chiacchiere con lui, nonostante fosse molto timido e riservato”.

Sappiamo che spesso organizzi delle iniziative per non dimenticarlo, ce ne parli?
“Ricordare “il Moro” suscita in me sempre un misto fra tristezza e gioia. Ovviamente il dispiacere è dato dalla sua assenza mentre la gioia deriva dal poter raccontare ad altri quelle che erano le sue grandi qualità umane. E’ proprio per questo che i miei interventi sono perlopiù rivolti ai ragazzini delle scuole, delle scuole calcio e relativi genitori. Cerco di far capire loro che lo sport implica anche dei sacrifici, che alla base di tutto vige sempre il rispetto delle regole e degli avversari, che ogni risultato è frutto di ciò che si è seminato, che non basta essere forti senza essere al contempo anche seri e professionali nei confronti di se stessi e di chi ci circonda. Tutte le persone che Morosini ha incontrato sulla sua strada hanno sempre avuto ottimi ricordi del suo modo di essere”.

Al giorno d’oggi ci sono ancora giocatori con simili qualità? Ci fai qualche nome?
“Nella mia storia sportiva ho incontrato parecchi giocatori e molti di loro hanno come priorità l’essere uomini ancor prima che calciatori. Vi potrei fare un lungo elenco ma per non rischiare di dimenticare qualcuno mi limito a citare i giocatori della nostra terra, ossia l’atalantino Raimondi, il viola Astori, poi Minelli, Gabbiadini e Belotti.
Mi piace raccogliere le maglie non solo dei campioni ma anche di tutti quei giocatori che ben rappresentano determinate qualità umane e nella foto vedete alcuni esempi”.

A proposito di maglie, come è iniziata questa passione e cosa rappresenta per te?
“Un bel giorno decisi di smettere di raccogliere le famose figurine Panini e di passare alle maglie che per me rappresentano tutto, la mia collezione è una delle cose a cui tengo di più. Essa è il simbolo di tanti sacrifici, di tante parole spese, di una moltitudine di storie che stanno dietro ad esse, di viaggi fatti in compagnia di mio padre Aldo, della pazienza dei nonni Anna e Tonino e della mia fidanzata Jennifer e non ultimo, di molteplici relazioni che si sono create negli anni con dirigenti, calciatori, loro familiari. Ogni maglia ha un’importanza che va oltre la semplice divisa ma fa affiorare in me un sacco di ricordi e di rapporti umani.
800 maglie sono tante, ne sono consapevole, ma le emozioni e il poter rivivere ciò che ho dovuto fare per avere ciascuna casacca non ha prezzo”.

800 maglie, le ricordi tutte? A quale tieni di più?
“Non è facile dimenticarsi di una maglia soprattutto perché come ho detto, basta pensare a una di esse e subito ricordo la storia che è collegata ad essa ma il discorso vale anche al contrario. Se rivivo una situazione, se penso ad una città, ad un personaggio, collego immediatamente anche la maglia che conservo. Proprio per questo ognuna ha la sua importanza.
Potrei dire Messi o Ronaldo ma non è così perché talvolta dietro ad un giocatore poco famoso c’è una grande storia. Dalla primissima del Sassuolo, a quelle dei giocatori bergamaschi, passando per quelle degli amici o degli atleti che ho allenato, sono tutte importanti. E’ ovvio che le maglie di Morosini hanno per me un significato particolare, specie l’ultima del Livorno dal momento che avrebbe dovuto portarmela a fine stagione e invece il dramma glielo impedì. Fu il magazziniere del Livorno a farmela avere perché sapeva che era stata tenuta da parte per me”.
Hai anche un sito internet vero?
“Assolutamente sì, www.ilredeicollezionisti.com Esso è dedicato a due persone: Marika, una ragazza che ho allenato quando facevo le mie prime esperienze nella pallavolo e che mancò a soli 16 anni, e appunto a Piermario Morosini. In esso raccolgo tutte le foto del materiale raccolto negli anni nonché gli articoli pubblicati dai vari giornali da quando ero ancora un ragazzino”.

Un ultimo pensiero… ci sono delle parole che ti disse Piermario Morosini e che tu vuoi far sapere ai nostri lettori?
“Un giorno mi disse che ciò che gli era successo gli aveva cambiato la vita, lo aveva segnato profondamente, gli aveva messo in corpo tanta rabbia; lui voleva diventare un buon giocatore non per poter guadagnare tanto, non per poter avere tante ragazze ai suoi piedi, non per guidare un’auto costosa, ma per poter realizzare quello che era il sogno dei suoi genitori. La vita lo ha strappato troppo presto all’affetto del mondo ma i suoi genitori sono sicuro che sarebbero stati orgogliosi che il figlio sarebbe stato ricordato non solo come calciatore ma come un uomo vero nonostante la giovane età e una vita ancora lunga davanti a sé”.

Si ringraziano tutti i giocatori e le società che sempre si dimostrano sensibili al ricordo del “Moro”.

Diego Guirri intervistato da Gianluca Boffetti

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