Ricominciò a nevicare, ed io pensai che tanto valeva lasciarsi prendere dai soldati, altro non potevo fare. Io dicevo alla mia famiglia di scappare, ma loro mi dicevano che esageravo, dicevano che ci trattavano solo con un po’ di indifferenza, i miei non sapevano dove poteva arrivare la crudeltà dei nazisti, loro non li vedevano mai, ma io, io sì. A scuola non facevano altro che chiedere informazioni sulle nostre famiglie; a noi, adolescenti che si affacciavano alla vita vera e che non vedevano l’ora di diventare grandi.
Io stupida maledetta volevo far vedere a loro che ero orgogliosa di essere figlia di due persone che non condividevano l’idea di “farsi comandare da un dittatore” e infatti rispondevo:-I miei genitori non la pensano come Mussolini-. Davo anche il mio indirizzo; sì io maledetta davo il mio indirizzo, io che volevo credere ai miei genitori dei giudizi che davano ai soldati stranieri. Alla fine scoprì a cosa serviva il mio indirizzo e mi dava conforto solo la scoperta che se non lo avessi dato io ci avrebbe pensato qualcun’altro. Le anime della mia famiglia giocate a tavolino per quattro soldi. Camminavo con le scarpe nella neve e ogni passo era un dolore atroce. Poco dopo scorsi alcuni nazisti che ordinatamente avanzavano con degli uomini legati dietro di loro. Questi uomini avevano gli occhi rossi e sul volto un dolore sconvolgente. “Dove sono le vostre donne? I vostri figli? Che dicevo io? Non credevate che i nazisti sarebbero arrivati a tanto eh?” pensai. I soldati continuavano a tirare la corda alla quale questi uomini erano legati, perché camminavano lentamente o semplicemente perché volevano svenire e morire tra la neve, ma i soldati non lo permettevano, volevano farli soffrire. Un soldato mi scorse ed io mi misi a correre; non sentivo più i miei piedi, scappavo, correvo anche se non sapevo dove andare. Avevo i soldati alle calcagna. I miei capelli mi impedivano di vedere dove andavo così inciampai in una pietra non del tutto coperta dalla neve, caddi e i soldati mi raggiunsero. Guardai i loro volti e loro fulminarono il mio. La mia mente ed il mio cuore erano pieni di dolore, la mia vita mi passò davanti come un razzo. I miei ricordi più belli stavano per essere dimenticati e quando me ne accorsi piansi disperatamente. Mi calmai subito, mi asciugai le lacrime e cercai di alzarmi in piedi, ma ero caduta sul ghiaccio e facevo fatica, così i nazisti mi presero per i capelli e mi legarono insieme agli altri uomini. In un certo senso mi consideravo fortunata poiché indossavo le scarpe ai piedi, gli altri uomini avevano con sé solo dei calzini o erano addirittura a piedi nudi. Poco dopo un uomo vicino a me cadde per terra e poiché eravamo tutti legati assieme, cademmo anche noialtri. Mi chinai vicino a lui per scuoterlo, ma niente non si muoveva, aveva i piedi viola poveretto. I soldati tagliarono la corda che teneva legati me ed il mio compagno dopodiché urlarono:-Shnell!- (Veloci!). non potendo sopportare la corda che graffiava i nostri polsi, ci alzammo in piedi e l’uomo morto dovevamo lasciarlo lì. “Ma come? Lasciarlo lì? Non si può, non possiamo lasciare un uomo preda dell’oblio…” La neve continuava a scendere abbondantemente; diedi uno sguardo all’indietro: il cadavere non si vedeva quasi più, era ricoperto di neve. Non riuscii comunque a vedere bene perché un soldato mi afferrò fortemente la mascella e mi costrinse a guardare avanti. Avevo paura, tanta paura. Il peggio doveva ancora avvenire. Dopo un’ora di cammino respiravamo faticosamente. Ci fermammo davanti ad una stazione ed i nazisti presero le bottigliette di Rum che tenevano nella tasca interna della giacca. Gli uomini abbassarono lo sguardo e chiusero gli occhi, evidentemente immaginavano anche loro di bere qualcosa di forte che certamente li avrebbe riscaldati. A me l’alcool non piaceva, così tenni lo sguardo alto e guardai il segno nazista cucito sopra le giacche dei soldati. Quel segno sembrava uno scrigno che rinchiudeva urli, pianti di disperazione, anime distrutte, separazioni dai propri cari in modo crudo e spregevole. Quello “scrigno” era ben sigillato in modo che il resto del mondo rimanesse all’oscuro di tutto ciò che solo i nazisti conoscevano. Dopo circa quindici minuti arrivò un treno arrugginito, quei treni rossi e marroni dove si trasportano gli animali. Immaginate i nostri volti. Dopo averci fatto salire, ci accorgemmo che non eravamo soli, i soldati ci urlarono:-Bis Bald!- (A presto!). Bello! Si prendevano gioco di noi.
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