E’ piaga sociale, indignazione, sdegno,mancanza, quello che si articola, snoda, prende corpo, vigore, serrato fra mille cavilli sociali,burocratici, a dismisura gonfiandosi sino a divenire rombo,tuono potente. Tempo e spazio non concessi al concatenarsi di gesti, eventi, parole, dal timbro aspro, amarezza senza fondo. Innocenza derubata, svilita da meccanismi antichi, tradizioni, culture in cui si vedono gruppi di genitori soprattutto di razza africana usare con i figli veri e propri bastoni per punire, a loro detta e convinzione “educare”. Rabbia genera rabbia, dolore fa nascere dolore, solitudine partorisce solitudine, mancanza auspica violenza. Violenza che si ripercuote nei gesti quotidiani, nello svolgersi della vita sociale. Irruenze, gesti bruschi, soprusi il cui ardire trova compimento, vigore. Spesso le istituzioni, chi di dovere, per etica morale, per principio dovrebbe vedere per agire rimane immobile, inerme. Consapevolezza muta altrove fa volgere lo sguardo. Dove il motivo? Infanzia che non ritorna, rubata, deprezzata. Segno impresso a foco sulla pelle, indelebile. Lacrime mute ingoiate, con rabbia sepolte sotto rassegnazioni servili. Per un giorno essere specchio di padri e di madri, a loro volta impugnando rabbia, la stessa di sempre, sentendo l’odio scorrere sulla pelle come linfa vitale. Indifferenza che uccide. Indifferenza che lacera. Quale il compito, dovere, di un cittadino quando questo si fa urlo, esigenza, premura, assedio?
Di certo, senza esitazione, di denunciare, di non tacere, di portare alla luce fatti e non sogni, certezze assolute, indiscutibili. Se un genitore non si prende cura dei figli non spetta alla società per etica, rispetto, dovere e diritto doversene far carico?
A chi, come noi, nonostante l’accoglienza, l’affetto offerto a piene mani ha subito un torto dopo l’indignazione, nasce il senso del perdono e dell’accoglienza?
Milena, la mamma di Vittoria e di Celeste