Commentando il ciuffo a banana esibito dal pianista Ezio Bosso sul palco di Sanremo, il sito satirico Spinoza ha scritto: «È davvero commovente vedere come anche una persona con una grave disabilità possa avere una pettinatura da coglione».
La tanta Italia che ha scoperto Bosso soltanto l’altra sera si è indignata, ma lui no. «Perché cerco di pettinarmi da solo» ha risposto, e anche i provocatori di Spinoza hanno dovuto concedere l’onore delle armi a quest’anima enorme, capace di prendere in giro la malattia degenerativa che gli ha invaso il corpo senza riuscire a intorbidirgli i pensieri.
Essere sfottuto è meglio che essere compatito: ti fa sentire normale.
Ma chi lo ha ascoltato parlare e suonare – come la giovane orchestrale con gli occhi umidi inquadrata più volte dalla regia, in cui ci siamo riconosciuti un po’ tutti – non era mosso dalla compassione. Semmai dalla meraviglia. La stessa che un bambino prova davanti al mistero. E qui il mistero è l’uomo, quest’essere fatto di fango e di stelle che non trattiene niente eppure contiene tutto, anche se spesso se ne dimentica. Poi una sera a Sanremo, dopo una silhouette perfetta e una bocca rifatta, spunta uno di quei «diversamente abili» dinanzi ai quali per strada giriamo educatamente la testa ed estrae l’universo dal suo corpo straziato. Allora accade un piccolo miracolo e persino lo spettatore più cinico percepisce confusamente che Ezio Bosso non è un uomo con le spalle al muro. È l’uomo che oltrepassa il muro nell’unico modo possibile. Volando.
Massimo Gramellini