Ieri mattina stavo andando al lavoro: le nuvole facevano filtrare raggi di sole che davano una luce particolare, ascoltavo musiche barocche per tromba, mi sentivo felice. Nulla di straordinario, normale quotidiano. Ma bello. Mi rendo conto che quando sono aperta alla vita il quotidiano riverbera di luci e sfumature; il normale fluire diventa ricco e significativo, acquista valore, senso. L’umore cambia lo sguardo: quando sono serena quasi tutto ciò che vedo acquista una sua bellezza, anche le cose non belle. Quando sono triste, lo sguardo coglie il risvolto cupo, come nei versi di Montale:
“Spesso il male di vivere ho incontrato:/ era il rivo strozzato che gorgoglia,/ era l’incartocciarsi della foglia/ riarsa, era il cavallo stramazzato.”
A volte, però, lo sguardo riesce a cambiare lo stato d’animo. Quando sono triste mi piace camminare per strada e guardare la gente che passa. Osservo i loro sguardi, le loro espressioni: come in un film muto, scorrono immagini e arrivano impressioni, frammenti di stati d’animo che traspaiono dai volti. Ne sono affascinata. Gli sguardi su un volto sono come le nuvole nel cielo: danno il carattere del momento. Non mi stanco mai di guardarli, mi fanno simpatia nell’espressione della loro umanità, in cui mi riconosco. Li guardo ed esco un po’ da me e dalle mie paturnie; scorro con loro.
Gli sguardi sono finestre che si aprono sul mondo, e più siamo in grado di tenere aperte quelle finestre, più la vita dischiude i suoi doni. Anche nella sofferenza.
“Magica spinta all’infinito aprirsi/ del fiore,
per accogliere più luce,/
ed esser così colmo di abbondanza, (…)/
Ma dove e quando,/ in qual mai vita,
impareremo il gesto,/
che ci spalanchi a contenere il mondo?”
Rilke, Esemplarità del fiore, da I sonetti a Orfeo
Sara