Nevica così tanto che ad un certo punto, ci sfiora l’idea che non smetterà mai. Invece poi, quasi come d’incanto, i fiocchi cessano di cadere e piano piano, senza troppa fretta, il bianco che si andava adagiando, si fa sempre più rarefatto. Per essere sicuri di non sbagliare proviamo a restare con il naso all’in sù: nulla ci inumidisce la pelle. Ha smesso sul serio.
E allora, come ispirati da un atavico bisogno di un divertimento lontano ma mai del tutto sopito, non possiamo fare a meno di toccare quel manto lindo e farinoso, morbido da sembrare velluto pregiato. Quel tatto delicato e quel colore monocromatico richiamano la nostra infantile curiosità e noi, ammagliati e forse anche un pò redenti, ci lasciamo attrarre, come rapiti. Irresistibilmente rapiti. E allora, proprio allora, ci si riscopriamo bambini (per fortuna, direbbero alcuni adulti eruditi) e vorremmo giocare a pallate di neve, subito, immediatamente, proprio come facevamo una volta, un pò di tempo fa, quando la maggiore età non era poi così prossima e i calzoncini erano una sorta di divisa. Ricordo che si rideva e si scherzava su ogni colpo andato a segno e che erano frequenti le arrabbiature per ogni danno (acquoso) subito a tradimento, così come repentina era la vendetta mirata (pan per focaccia) a suon di colpi di neve. Una specie di palla prigioniera in cui ci si inzuppava i guanti, maniche e pantaloni, mentre le scarpe affondavano nel bianco gelato, facendoci rabbrividire la pelle. Ricordo i rientri a casa per spogliare tutto di dosso per poi infilarsi diritti-diritti nella vasca bollente dove ritemprare uno scheletro semi congelato. Quante risate. Quanti scherzi. Quanta vita c’era in quel fiato “fumoso” che sfidava il freddo e accompagnava le accese battaglie di neve. Erano le mitiche “guerre virtuali”, talmente accese e animate da tradire tutta quell’istintiva voglia in corpo di giocare. Ecco, era proprio il gioco l’unico e solo comun denominatore di ogni lancio di neve appallotata a puntino. Altro che guerre. Magari fossero tutte così, le guerre della storia.
Ricordo che magari a volte si eccedeva, si colpiva duro. Si tornava a casa ammaccati, con un colorito più roseo del normale sulle guancie, naso od orecchie (per non parlare delle mani), magari perchè qualcuno ci aveva centrato in pieno, in testa, sul muso, nel collo o da qualche altra parte e ci aveva “fatto la festa”. Oppure accadeva tutto l’opposto. Si concludeva il conflitto senza riportare danni e ci si godeva il provvisorio successo sul campo, effimero quanto gustoso, ma da rimettere obbligatoriamente in discussione la volta successiva, alla prima occasione utile. Ricordo anche che, in ogni caso, a prescindere, quando si eccedeva (anche involontariamente) all’interno delle agguerrite battaglie nevose e si faceva del male a qualcuno (nel senso che gli si creava anche solo un fastidio non voluto) , ci si fermava per chiedere scusa. Era normale e logico farlo, in nome del buon senso e di quella buona fede che accompagnava ogni palla di neve. A volte capitava che qualcuno se la prendesse un pò troppo per lo scherzo andato a segno ed allora lo stesso scherzo si tramutava in uno screzio, dando così ori! gine a quello strano fenomeno che era l’anagramma imperfetto, ovvero la tramutazione di una parola in un’altra ma con la modifica di una lettera. Era per l’appunto il caso dello “scherzo” (sostituendo l’h con la i) che diveniva diveniva “screzio”.Lo scherzo diveniva screzio. Da qui la leggenda dell’anagramma imperfetto che prendeva vita e si mostrava tra le palle (e che palle!) di neve. Diventava il più natalizio degli anagrammi, per di più imbiancato di neve. Spesso, allora come oggi, i giorni nevosi e quindi delle pallate nevose, coincidevano con il Natale e dintorni, un periodo che racchiudeva in sè un senso della morale così profondo da imporre una duplice condotta.
A) Scherzare ma con con moderazione e saper ammettere (facendo pubblica ammenda) quando si eccedeva nei modi (in qualunque maniera).
B) Nel medesimo tempo, saper sorridere e sdrammatizzare, più per dovere che per diletto. Insomma, saper sorridere , dentro, sopra, fuori e di fianco alle cose. Era Natale allora, proprio come oggi e per fortuna, certe cose non cambiano mai. Almeno, non dovrebbero cambiare mai.
Buon Natale a tutti. Mille sorrisi nevosi.
Maurizio Lorenzi