Nella quiete si ricompongono i pensieri. In questa settimana sono stato un po’ sbilanciata sul fronte sofferenza/fatiche esistenziali, e ho ritrovato in me quel senso di fastidio e insofferenza rispetto alla normalità. Il fatto di stare vicino a persone in difficoltà ti fa guardare il mondo con altri occhi.
Spesso questo significa guardarlo con maggiore intensità e meraviglia, con la percezione della complessità e della pienezza. Allora sto in equilibrio tra i due mondi. A volte, invece, capita che l’equilibrio si rompa, e mi ritrovo con tutti e due i piedi nei luoghi faticosi e veri dell’umanità dolente. Sono allenato a ritrovare l’equilibrio, e scrivere mi aiuta. Oggi sono sereno e, da qui, rifletto sulla normalità. Vita normale significa vita tranquilla con, al massimo, problemi assimilabili a tiepide preoccupazioni… Magari un po’ di noia, di routine…
Ma quante vite rientrano in questa “normalità”?
Quello che mi colpisce è che abbiamo dentro l’illusione che per vivere una vita “normale” dovremmo essere felici.
Dopodiché ci ritroviamo a confrontarci con una realtà che si discosta da quell’illusione.
Se sei fortunato, si discosta poco, altrimenti sono cammini molto in salita. Forse è una concezione legata allo spirito del tempo: la generazione che dagli anni ’50 in poi è cresciuta in periodi di ripresa economica, di speranze, di miglioramento che sembrava non dovesse mai finire. Invece è finito, e ci abbiamo messo anni per accorgercene. Io sento spesso le persone lamentarsi delle fatiche che devono fare nelle loro vite: e non parlo dei pazienti, ma di persone che hanno vite “normali”.
Ho l’impressione che si sia perso il senso di questa parola.
La normalità non è l’equivalente della serenità. È normale che si alternino gioie e dolori, è normale che si fatichi a vivere. Trovo sconcertante che adulti maturi con normali fardelli esistenziali si lamentino seriamente della loro condizione. Ma dove vivono? Mi colpisce quanto un preconcetto possa vivere radicato e scollato dalla realtà. Il fatto è che questo è proprio il potere dei preconcetti: li abbiamo dentro, e sono così scontati che ci possiamo convivere per una vita intera senza mai metterli in discussione. Nessuno è esente. Il guaio è che l’effetto collaterale è una costante infelicità, la sensazione di essere in una vita sbagliata, e che da qualche altra parte ci sia la vita che dovremmo vivere. Se penso alla mia esperienza, ogni volta che dico sì alla vita così com’è, a ciò che sta accadendo e che non posso modificare, io ritrovo equilibrio e forze per affrontare ciò che devo. Ritrovo un benessere fatto di fatica e di possibilità, di peso sostenibile, di speranza. Quando i pesi si fanno sentire, desiderare una vita diversa è umano ma non aiuta. Si possono attraversare le terre dello sconforto e della rabbia, della depressione e dell’impotenza, ma poi accogliere ciò che c’è è il passo indispensabile per andare oltre, per fare ciò che è possibile fare, per migliorare la situazione se possibile, fin dove è possibile. Normale è la vita che abbiamo, non quella che dovrebbe essere. Voi cosa ne pensate?
Gianluca Boffetti