Chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza.
Johann Wolfgang von Goethe
È stato molto difficile per me scrivere questo articolo. Ho scritto e cancellato più volte le frasi, ho rivestito di mille abiti i concetti che tanto chiari sono nella mia mente, ma che l’estremo pudore con il quale mi avvicino ad essi rende inafferrabili. Dopo essermi divorata le unghie e aver trattenuto a stento i sospiri, ho deciso di dire la verità, così com’è; quella verità che le protagoniste di questo articolo troppo spesso soffocano nel silenzio di un dolore lancinante. Ho incontrato durante il mio cammino nel mondo del dolore psicologico molte donne che non riuscivano a uscire dalla spirale della violenza. Alcune di loro ce l’hanno fatta con l’aiuto delle strutture di primo soccorso e delle case di accoglienza, altre hanno ritrovato la forza in un supporto psicoterapeutico; altre, troppe, sono rimaste intrappolate nella gabbia dei maltrattamenti. Il rapporto vittima carnefice è un rapporto esclusivo, fatto di riti ancestrali e legato a strategie acquisite quando ancora non si era in grado di distinguere ciò che era giusto da ciò che non lo era. L’adulto violento, con ogni probabilità, ha imparato, spesso a sue spese, che la violenza era l’unico modo per comunicare. In seguito, con l’età adulta, si è inebriato del potere che la paura negli occhi della sua vittima gli dava, e quindi ne è diventato a sua volta schiavo. Ed è in questo che si cela il segreto per interrompere la catena di violenze: il vero potere è quello della vittima, poiché nel momento in cui decide di non esserlo più, priva totalmente il carnefice della sua identità, facendolo così sentire svuotato e totalmente privo di autostima. Decidere di uscire dalla condizione di vittima è una scelta per la quale diventa necessario attingere a risorse inimmaginabili; un coraggio che è stato minato da anni di botte e ingiurie. Per questo è necessario essere supportati dalle strutture sanitarie predisposte all’accoglienza ed all’ascolto messe a disposizione gratuitamente dal servizio sanitario nazionale. La cosa che sempre mi ha colpito quando sono entrata in contatto con il personale di queste strutture, il cui apporto sovente non viene riconosciuto per quel che vale, è la totale sospensione di giudizio che si legge nei loro occhi. Si avverte come una sensazione di comprensione totale. Non servono domande e nemmeno giustificazioni. Le donne che subiscono violenza, fisica o psicologica, passano le giornate a rispondere a domande che non prevedono una risposta sensata. Si professano sbadate, a volte cattive. Non è raro sentirle dire: « Me le sono meritate; l’ho fatto innervosire. ». Diventa così normale accedere alle menzogne per riuscire a dare un senso a quello che accade che finiscono per crederci loro stesse. E a quel punto il carnefice avrà vinto. Non esistono buoni motivi per essere picchiati. Non esiste un motivo plausibile che permetta ad un essere umano di ferirne un altro. Non esiste l’amore violento! Esiste solo la violenza, che nasce dall’averla subita, dall’essersene stati nutriti fin da bambini, dal ritenerla l’unica strategia utile per il raggiungimento dei propri obiettivi. La violenza fisica, come dimostra lo studio Carotenuto del 2007, è solo un aspetto del fenomeno del maltrattamento che si manifesta attraverso strategie di controllo diversificate. Possiamo trovarci infatti in presenza di violenza psicologica, nel qual caso il partner, attraverso manovre sottili di potere, mina la possibilità della donna di riconoscersi come soggetto altro da lui, alterandone le percezioni e il senso di sé. Alcune donne in proposito riferiscono che il partner ha sempre un’espressione di sopportazione e di disprezzo quando loro parlano di qualcosa; altri uomini creano il vuoto intorno alla compagna, ad esempio isolandola dal suo contesto sociale e affettivo, o sorvegliandola in continuazione, oppure facendola sentire impotente e insicura e portandola a dubitare delle proprie sensazioni e delle proprie certezze. In altri casi il maltrattamento può assumere forme meno subdole, sempre e comunque giustificate da presunte colpe della compagna: offese, insulti, ingiurie e accuse non suffragate da fatti, ma comunque punibili agli occhi del maltrattante. Ci sono partner che sembrano solo capaci di dare ordini che vanno eseguiti all’istante o che mettono in atto strategie di controllo mirate a far sentire in colpa e a svalutare la compagna. Un altro tipo di violenza subita dalle donne e affrontata dal già menzionato studio Carotenuto è lo stalking. Un fenomeno diffusissimo che si origina in seguito a un esito negativo di una relazione di coppia. Si manifesta in continui e protratti maltrattamenti che mostrano il rifiuto e l’ostinazione del partner violento di rinunciare alla sua “preda”.
E questo perché un tale atteggiamento rappresenta per lui l’ultimo contatto che può mantenere con la sua vittima.
Il maltrattante ha “bisogno” di provocare nella compagna disagio e malessere; e tale bisogno riflette un’impossibilità degli uomini molesti di provare sentimenti che non siano estremi. Altra tipologia di violenza contemplata dalla studio Carotenuto è quella economica, che costituisce un’altra strategia di potere e controllo da parte dell’uomo. Nonostante infatti le donne che attualmente si rivolgono ai Centri siano per la maggior parte occupate, esse si trovano costrette a versare tutto il loro guadagno su un conto corrente cointestato (nei casi migliori), o addirittura intestato solo al compagno, che non rende mai conto dell’uso fatto del denaro. Per ultima, anche se forse prima per importanza, abbiamo la violenza sessuale, normalmente non contemplata all’interno di una relazione di coppia perché ritenuta una forma di violenza “esterna”, ovvero esercitabile esclusivamente da persone sconosciute, e mai dal proprio partner. Evidentemente a torto, dal momento che secondo le ricerche nordamericane almeno una donna su dieci è stata violentata dal marito. Dati raccolti in una delle prime ricerche fatte in Italia sulla violenza sessuale e sulla conoscenza del fenomenoo da parte degli operatori socio-sanitari, rivelano che il 58% degli operatori ritiene che siano i problemi psicologici delle donne a scatenare i comportamenti violenti nei maschi; il 32% che le donne subiscano perché masochiste; e il 68% è favorevole alla prescrizione di psicofarmaci. L’uomo può imporre alla donna il rapporto sessuale o un certo tipo di rapporto, con ricatti economici, affettivi o che riguardano i figli; può stuprarla dopo le botte davanti ai bambini, può costringerla a fare foto pornografiche o a prostituirsi. I dati raccolti dai Centri Antiviolenza e dalle Case delle Donne riportano che la maggior parte delle violenze sessuali avviene all’interno delle mura domestiche, non solo ad opera di mariti o partner, ma anche da conoscenti con i quali le vittime avevano rapporti di fiducia. (studio Carotenuto 2007) I dati sopra riportati ci danno un’idea precisa della mostruosità davanti alla quale troppo spesso tutti – parenti, amici, istituzioni – chiudono gli occhi. La decisione spetta alla donna. Ma dobbiamo tendere una mano ed offrire un poco della nostra energia perché questo possa avvenire, altrimenti l’autostima bassissima e lo stillicidio continuo della violenza non darà a queste creature alcuna possibilità di uscire da una situazione che non può fare altro che peggiorare. E quindi decidiamoci a guardare e a vedere quello che accade. Io mi sono ripromessa di farlo sempre, a qualsiasi costo e a rischio di sbagliare. Preferisco affrontare i miei errori piuttosto che permettere che una vita venga violata senza avere fatto nulla. Vorrei lanciare un messaggio alle persone cui questo articolo risultasse familiare: « Usate il vostro potere; senza una vittima il carnefice smette di esistere! ».
La violenza può avere un effetto sulle nature servili ma non sugli spiriti indipendenti. Ben Jonson
Giuseppina Tratta