Non mi ero mai accorto che nella strada accanto alla mia ci fosse un omino che ripara televisori. La botteguccia era proprio minima, sembrava poter contenere solo quel vecchietto con le orecchie sottili come il prosciutto e il naso scoppiato di capillari, e la mia televisione nuova e già guasta. Si vede male, ho detto rimanendo sulla soglia, le immagini tremano e certi canali non si prendono per niente. Stasera vengono a casa tutti i parenti per la cena di Natale, vorrei che il televisore funzionasse. Il vecchietto ha annuito con il cacciavite, io ho sorriso, lui pure, e poi mi ha detto: nessun problema, torni tra un’ora. Dopo un’ora ero lì, e il vecchietto aveva già fatto il lavoro. Non ha voluto neanche un soldo, io ho insistito, ma lui ha scosso la testa liscia come una lampadina. Le ho aggiunto anche un canale, ha detto guardandomi fisso negli occhi, un canale che si fa molta fatica a sintonizzare. Starete bene, tutti insieme, tutti quanti insieme, mi ha detto dondolando sui piedi.
Poi mi ha stretto la mano e come Atlante io mi sono caricato il televisore sulle spalle e l’ho portato a casa. Verso le sette è arrivato mio fratello con la cesta piena di regali da sistemare in salotto sotto l’albero. Dopo dieci minuti è arrivata la moglie con i bambini, che non devono sapere ancora niente dei doni. Alle otto la catasta dei regali era ammassata ai piedi dell’abete e tutti i miei parenti – fratelli, sorelle, cognati, nipoti – stavano nella stanza in fondo al corridoio, in attesa dell’angelo. E’ il rito della nostra famiglia, va avanti da tanti anni, da quando anch’io ero piccolo e pieno di spavento per ciò che stava per avvenire. Mi è parso di vedere un angelo in terrazza, se siamo stati buoni forse porterà i regali anche da noi, diceva mia madre, e ora lo dice la mia sorella maggiore, e i bambini stanno zitti, rinchiusi nella speranza e nel timore.
E d’improvviso si sente una campanella – era mio padre a scuoterla, in corridoio, e oggi è mio fratello Peter – e nell’aria si spandono le note di Stille Nacht. Qualcuno spalanca la porta e i bambini corrono verso l’albero ora bello di luci e circondato da cento pacchetti colorati. Prima di scartarli, i bambini devono recitare le poesie e cantare le canzoncine: è così da sempre e sarà sempre così, finché nella nostra famiglia ci sarà un bambino, finché saremo vivi. Anche quest’anno è andato tutto bene. Io ho avuto un paio di cravatte, un libro, l’ennesimo rasoio elettrico. I bambini hanno cominciato a giocare sul tappeto con i loro aggeggi elettronici, mentre mia moglie faceva girare gli aperitivi. A tavola, come al solito, abbiamo un po’ litigato parlando di politica, esattamente come ogni anno. La più grande delle mie nipoti – ha quasi diociott’anni ed è ribelle e arrabbiata come lo ero io – vorrebbe un mondo in cui tutti fossimo in pace, senza poveri, senza esclusi. Questa vita è ingiusta, ha detto, butta via la gente, la fa morire. Nessuno dovrebbe morire, ha gridato. Per riportare un po’ d’allegria a tavola, mio cognato ha raccontato come sempre due barzellette. Una era la stessa dello scorso Natale, ma nessuno l’ha interrotto. Dopo il panettone e il caffè, ci siamo sistemati sui divani per continuare a chiacchierare e bere un cognac. E dopo mezz’ora le parole sono iniziate a mancare ed è scesa la malinconia che segue la festa, qualche bambino sbadigliava tra i fogli accartocciati dei regali, e allora io ho acceso la televisione. C’era festa su tutti i canali, ballerine e sacerdoti, brindisi e sorrisi, alberi e presepi illuminati. Sono andato avanti pigiando a caso i tasti del telecomando. E di colpo è apparso il viso magro di mio padre, in bianco e nero. Ci fissava dallo schermo, e ora accanto a lui c’era anche mia madre, pettinata bene, con il suo tailleur preferito, e dietro, in un salone che era il nostro, mio fratello Fabio, che morì a cinque anni, e il primo amore di mia sorella, un ragazzo biondo morto in un incidente di moto e altra gente che non conoscevo. Il loro abete era spento, e anche i visi avevano una serenità senza luce. Auguri a tutti voi, figli e nipoti, ha detto mio padre. E’ bello stare tutti insieme, almeno stasera che è Natale, ha aggiunto mamma, e ha spinto il suo bicchiere verso di noi. Auguri mamma, auguri papà, cincin, e ho battuto il mio bicchiere contro il vetro spesso del televisore. Poi l’immagine è saltata, c’era solo una nebbia formicolante, solo il fruscio del tempo che passa.
Marco Lodoli