Ieri mi ha telefonato l’impiegata di una società di recupero crediti, per conto di Sky.
Mi dice che risulto morosa dal mese di settembre del 2009.
Mi chiede come mai.
Le dico che dal 4 aprile dello scorso anno ho lasciato la mia casa e non vi ho più fatto ritorno, causa terremoto.
Il decoder Sky giace schiacciato sotto il peso di una parete crollata.
Ammutolisce.
Quindi si scusa e mi dice che farà presente quanto le ho detto a chi di dovere, poi, premurosa, mi chiede se ora, dopo un anno, è tutto a posto.
Mi dice di amare la mia città, ha avuto la fortuna di visitarla un paio di anni fa. Ne è rimasta affascinata. Ricorda in particolare una scalinata in selci che scendeva dal Duomo verso la basilica di Collemaggio, mi sale il groppo alla gola.
Le dico che abitavo proprio lì.
Lei ammutolisce di nuovo, poi mi invita a raccontarle cosa è la mia città oggi.
Ed io lo faccio….
Le racconto del centro militarizzato. Le racconto che non posso andare a casa mia quando voglio. Le racconto che, però, i ladri ci vanno indisturbati.
Le racconto dei palazzi lasciati lì a morire.
Le racconto dei soldi che non ci sono, per ricostruire.
E che non ci sono neanche per aiutare noi a sopravvivere.
Le racconto che, dal primo luglio, torneremo a pagare le tasse ed i contributi, anche se non lavoriamo. Le racconto che pagheremo l’I.C.I. ed i mutui sulle case distrutte e ripartiranno regolarmente i pagamenti dei prestiti.
Anche per chi non ha più nulla!
Che, a luglio, un terremotato con uno stipendio lordo di 2.000 € vedrà in busta paga 734 € di retribuzione netta.
Che non solo torneremo a pagare le tasse, ma restituiremo subito tutte quelle non pagate dal 6 aprile ad oggi.
Che lo stato non versa nulla ai “cittadini senza casa” (quelli che si gestiscono da soli) e che sono ben ventisettemila, a loro neanche quel piccolo contributo di 200 € mensili che dovrebbe aiutarli a pagare, magari, un affitto.
Che i prezzi degli affitti sono triplicati. Senza nessun controllo.
Che io pago, in un paesino di 500 anime, quanto Bertolaso pagava per un appartamento in via Giulia, a Roma.
La sento respirare pesantemente.
Le parlo dei nuovi quartieri costruiti a prezzi di “residenze di lusso”. Le racconto la vita delle persone che abitano lì. Come in alveari senz’anima. Senza neanche un giornalaio o un bar.
Le racconto degli anziani che sono stati sradicati dalla loro terra lontani kilometri e kilometri.
Le racconto dei professionisti che sono andati via. Delle iscrizioni alle scuole superiori in netto calo.
Le racconto di una città che muore e lei mi risponde, con la voce che le trema.