Si gioca con il fuoco, si fa da troppo tempo e si incolpa l’Europa, l’euro, la Germania e non si guarda mai la vera radice del problema.
Il debito pubblico italiano e questi anni di crisi e recessione sono stati creati da politiche sciagurate, messe in atto per accontentare a parole le vecchie generazioni, caricando sulle spalle delle nuove un peso enorme. I giovani sembrano essere diventati solo un problema da risolvere, non più una grande risorsa per il futuro.
Abbiamo perso sogni e speranze, ingabbiati in uno stato che non ci vuole perché ci dicono di essere inesperti, impreparati, non adatti o, peggio, fin troppo qualificati per quel tipo di lavoro. E ci stupiamo se la politica ci promette posti di lavoro che non sa come creare?
I governi dovrebbero creare le condizioni affinché i privati possano investire, innovare, ricercare, produrre. Il pubblico non può e non deve fare tutto. Non deve perché abbiamo avuto modo di notare come da fornitore di servizi, sia diventato un poltronificio e uno stipendificio a discapito dell’efficienza, dell’economicità e della produttività. E queste sono tasse che paghiamo noi, ogni giorno. Ogni mancanza del settore pubblico, ogni buco, ogni perdita viene pagata da noi. Ogni pausa caffè troppo lunga, ogni chiacchiera da salotto, ogni poltrona regalata a qualche amico incapace affamato di denaro, ogni dipendente non necessario viene pagato con le nostre salatissime imposte.
Come si tagliano le imposte se non si tagliano le spese? Semplice, se ne mettono di diverse su altri beni. E poi si va in tv ad annunciare grandi tagli e la vittoria di tante battaglie. E ci si crede.
Ma alla fine cosa cambia? NULLA. Gli unici tagli di imposte duraturi necessitano di corrispondenti tagli di spesa, ma quando si parla di questo, tutti pensano immediatamente a istruzione, sanità, pensioni e sociale. Ma non è qui che bisogna colpire, sebbene sia indubbia la necessità di un tetto ai cumuli di pensioni e a quelle d’oro, così come servirebbe l’introduzione dei costi standard soprattutto nella sanità, per avere reali confronti negli acquisti di beni.
Non è accettabile o comprensibile che ciò che dovrebbe costare 1, venga pagato 2.
Per fare un esempio, negli ultimi 10 anni le spese delle Regioni sono aumentate di 89 MILIARDI.
E ricordiamo che le Regioni sono gli enti a cui paghiamo un profumato bollo auto senza battere ciglio. Per non parlare dell’odiatissima (ma è comprensibile) IRAP, da alcuni definita “imposta rapina”, considerando che viene versata anche se il bilancio dell’impresa è in perdita, vista l’indeducibilità dei costi del lavoro. Ebbene sì, le imprese che dovrebbero fornire lavoro sono impossibilitate a farlo perché questa è un’imposta che strangola chi ha un’alta intensità di manodopera. Senza contare, ovviamente, il rimanente carico derivante da obblighi previdenziali e tributari. Queste dovrebbero essere le priorità per rilanciare l’Italia: IRAP e cuneo fiscale. Senza impresa non c’è lavoro e finchè si lasciano morire, la strada della ripresa è sempre più lontana. Ma i disastri del settore pubblico non finiscono qui. Un paio di esempi tra i più conosciuti: la RAI e Trenitalia.
A gennaio, ogni anno, la RAI ci ricorda di pagare il canone e, inevitabilmente, ogni anno scopriamo che la RAI chiude in rosso. La mia proposta? Privatizzarla. Venderne le quote a società, enti, persone completamente slegati l’uno dall’altro, garantendo quindi diversità, evitando di creare monopoli o oligopoli dell’informazione. Abolire, di conseguenza, il canone. 113 euro all’anno che non vengono buttati.
Per quanto riguarda il capitolo “Trenitalia”, credo sia inutile sottolineare quanto il servizio offerto sia distante da quello atteso. Ritardi sempre e comunque, tempistiche discutibili, ma zero concorrenza, almeno sulle tratte regionali. E’ suonata la sveglia sulla stessa tratta delle Frecce, visto l’arrivo di Italo, ma la strada è lunga. Soprattutto se quando qualcuno prova a fare concorrenza a Trenitalia e le assurde imposizioni di quest’ultima portano al fallimento di un’impresa che poteva funzionare.
Forse dovremmo solo smettere di vedere bianco o nero, inteso come pubblico è buono e privato è cattivo, perché non è così.
Dovremmo pretendere dei governanti migliori, non ci servono più i venditori di illusioni, i maghi, i Re Mida o presunti tali, anche perché nessuno trasforma in oro ciò che tocca. Ci servono amministratori seri, preparati, capaci di tagliare le spese inutili, che sappiano gestire al meglio le risorse presenti, che sfruttino a pieno i finanziamenti europei, che investano in ricerca, innovazione, infrastrutture, istruzione.
Ci servono persone che recuperino gli immobili esistenti, perché ben presto la vera risorsa scarsa sarà il territorio. Finché ci si ostina a voler creare sviluppo con i nuovi immobili, ma in un Paese che non cresce, in cui non si fanno più figli, le speranze sono poche.
Recuperiamo gli spazi lasciati all’incuria e al degrado, perché di questo passo potrebbe non esserci più superficie su cui costruire.
Un ultimo appunto generale: care amministrazioni pubbliche, cari enti pubblici, care società pubbliche smettete di assumere personale anche quando non è necessario.
Basta avanzamenti di carriera basati unicamente sull’anzianità, ci serve meritocrazia.
Basta manager super pagati anche quando ottengono solo perdite, anzi, per questi ultimi proporrei contratti a progetto, con eventuali benefit direttamente correlati ai risultati economici ottenuti. Se poi estendessimo questo sistema anche alla classe politica, saremmo sulla giusta strada. Peccato che non funzioni così, anzi, per il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica Amministrazione alle imprese si è ricorsi addirittura a un decreto, ma mi pare che l’accredito della prima mensilità sui conti correnti dei parlamentari sia arrivata giusto in tempo, no?
Immagino che anche questo particolare la dica lunga riguardo l’impegno dimostrato per far sopravvivere i primi creatori di ricchezza: LE IMPRESE.
Per distribuire ricchezza bisogna saper creare ricchezza. Diamo respiro alle imprese.
Basta giochi di potere inutili, basta spese improduttive, basta tasse, solo così si riparte.
Paola B.