Il 6 agosto 1945, poco prima dell’alba, il quadrimotore B-29 americano “Enola Gay” decolla dall’isola di Tinian (arcipelago delle Marianne) e si dirige verso il Giappone. Alle 8.15 ora locale raggiunge la città di Hiroshima, sulla quale sgancia una bomba atomica all’uranio chiamata “Little Boy”, che esplode a 580 metri da terra sviluppando una potenza stimata di circa 15 kiloton, pari a 15 mila tonnellate di tritolo.
Il 9 agosto, alle 11.02 ora locale, un altro bombardiere americano, il “Bockscar”, colpisce la città di Nagasaki con una bomba al plutonio soprannominata “Fat Man”, la cui esplosione libera una potenza di circa 21 kiloton.
Il giorno successivo, l’Imperatore Hirohito ordina ai propri vertici militari di accettare una resa praticamente senza condizioni.
Antefatti: Lo scenario bellico
Dopo la caduta delle Isole Marianne nel luglio del 1944, la sconfitta del Giappone appare imminente. L’impero nipponico è stato ripetutamente battuto dalle forze aeree alleate e pesantemente bombardato: il solo raid su Tokyo nel marzo del ‘44 ha ucciso circa 90 mila persone e ne ha ferito più di 160 mila; un secondo attacco aereo nel maggio dello stesso anno ha provocato 83 mila vittime. Inoltre, un blocco navale impedisce l’importazione di materie prime e quindi la possibilità di produrre materiale bellico. Per di più, nel maggio 1945, la resa della Germania consentirà agli alleati di concentrare truppe e risorse sul fronte del Pacifico.
Lo scenario politico
Il 12 aprile 1945 muore Franklin D. Roosvelt, e il suo vice Harry S. Truman gli subentra nella carica di presidente degli Stati Uniti. Truman viene informato nei dettagli sul Progetto Manhattan e prende immediatamente in considerazione l’utilizzo della bomba atomica contro i Giapponesi, asserendo di aver ben compreso l’importanza degli ordigni nucleari per le iniziative diplomatiche e militari presenti e future.
L’Operazione Downfall, ovvero l’invasione delle isole Kyushu e Honshu progettata in precedenza, viene definitivamente messa da parte. È infatti opinione comune che il fanatismo dei Giapponesi costerebbe agli Stati Uniti un enorme tributo in vite umane nel caso di uno sbarco terrestre, mentre una o più atomiche sarebbero decisive nello stroncare ulteriori ostilità.
In effetti, la casta militare e un’esaltazione collettiva di tipo razziale spingono i nipponici a continuare la resistenza: giovani piloti suicidi, i kamikaze, si gettano con i loro aerei sulle navi nemiche per affondarle.
Tra le alte cariche americane esistono tuttavia opinioni contrastanti: il generale MacArthur sottolinea la situazione critica in cui versa il nemico su tutti i fronti; il Capo di Stato Maggiore americano Leahy afferma che non c’è necessità di usare la “bomba”; dello stesso parere è il generale Eisenhower, che ritiene i Giapponesi pronti comunque alla resa. Byrnes, il consigliere più influente di Truman, è invece favorevole all’ipotesi di attacco atomico.
Esiste inoltre un elemento di analisi che prescinde dalla “situazione giapponese”: un bombardamento nucleare sul Giappone costituirebbe in realtà un messaggio “laterale” per l’Unione Sovietica (in procinto anch’essa di dichiarare guerra all’Impero del Sol Levante). Un ingresso attivo russo nello scacchiere del Pacifico è assolutamente da evitare, per scongiurare future dispute territoriali e strategiche. Il lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki potrebbe quindi essere considerato il primo atto della futura Guerra Fredda.
La Dichiarazione di Potsdam (ovvero Proclamation Defining Terms for Japanese Surrender)
Durante la Conferenza di Potsdam (Germania, dal 17 luglio al 2 agosto 1945), indetta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica per esaminare le questioni concernenti il quadro politico europeo dopo la vittoria sulla Germania, si discute anche della guerra sul Pacifico: Harry Truman, Winston Churchill e il presidente cinese Chiang Kai-Shek firmano un documento che delinea i termini di un ultimatum al Giappone.
La bomba atomica è stata collaudata con successo il 16 luglio attraverso il Trinity Test, effettuato nel campo di tiro di Alamogordo (New Mexico), conosciuto come “Jornada del Muerto” (viaggio del morto), 340 km a sud di Los Alamos dove l’ordigno è stato prodotto.
La sera del 26 luglio 1945 (mattino del 27 luglio a Tokyo) l’ultimatum – noto come Dichiarazione di Potsdam – viene trasmesso al governo giapponese: si chiede la resa incondizionata, pena un’immediata e completa distruzione.
L’assenza di qualsiasi garanzia circa il destino dell’Imperatore (considerato una divinità, nonché il cuore del popolo e della cultura nipponica) costituisce l’ostacolo principale alla capitolazione. Il giorno seguente i giornali giapponesi riportano la dichiarazione, il cui testo viene diffuso anche radiofonicamente. Ma il governo militare la respinge. Già nel maggio 1945 erano stati indicati i possibili obiettivi di un bombardamento atomico: Kyoto, Hiroshima, Yokohama e Nagasaki. La scelta era determinata da tre criteri: il luogo da colpire avrebbe dovuto essere un centro importante e misurare un diametro maggiore di tre miglia (circa 5 km); l’esplosione avrebbe dovuto creare un danno effettivo; nel caso di un obiettivo strettamente militare, la collocazione avrebbe dovuto trovarsi comunque all’interno di una vasta area urbana. Tutto ciò per evitare il rischio di mancare il bersaglio e quindi “sprecare” la bomba, e per esaltare al massimo gli effetti psicologici e “spettacolari” sulla popolazione, sul governo giapponese e sul mondo intero. Alla fine, Kyoto viene risparmiata per la sua importanza culturale, e sostituita con Kokura.
Fine prima parte
Fonte Vikipedia