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RED LIGHTS

“Esistono due tipi di persone con un dono speciale. Quelli che credono davvero di possedere un certo potere e gli altri, quelli convinti che noi non riusciremo a scoprirli. Sbagliano entrambi”. Margaret Matheson (interpretata da Sigourney Weaver) e Tom Buckley (interpretato dal Cillian Murphy di “Batman Begins”, “Il cavaliere oscuro” e “In Time”) reputano che il mondo sia pieno di imbroglioni e impostori che sfruttano la credulità e le paure dei loro seguaci per conquistare notorietà e ricchezza. I due studiosi sono esperti nell’individuare i “red lights”: quei segni rivelatori dell’arte scenica, usata per gettare fumo negli occhi degli ingenui. Docenti universitari e agenti di fama internazionale sui fenomeni paranormali, i due sono, per loro natura, diffidenti nei riguardi di tanti maghi, santoni e guaritori che promettono miracoli e risanamenti improbabili se non impossibili. Questa loro convinzione, infatti, deriva proprio dall’aver sconfessato parecchi personaggi equivoci disposti a tutto pur di favore soldi sulla pelle della povera gente. Dopo circa 30 anni, una vecchia conoscenza di Margaret torna alla ribalta della cronaca. Si tratta del sensitivo cieco Simon Silver (con le fattezze di Robert De Niro) con il quale la dottoressa si era scontrata più volte in passato, ritenendolo responsabile della morte di uno spettatore a seguito di un infarto durante una sua esibizione. Chiede così a Tom di non interessarsi al caso, temendo per l’incolumità fisica del suo stretto assistente. L’uomo, però, non vuole cedere. Si immagina che la vittoria nella sua battaglia gli consentirà di raccogliere capitali per quelle ricerche che lui e Margaret stanno portando avanti. Tom ricorrerà anche all’aiuto della sua migliore studentessa e metterà in campo tutti quegli accorgimenti necessari per dimostrare l’inattendibilità di Simon. Ma il sensitivo pare sempre più non essere un impostore. A cimentarsi col paranormale, o soprannaturale che dir si voglia (anche se le sequenze in materia non sono poi così tanto preminenti nello sviluppo della trama) questa volta è Rodrigo Cortés. Scrittore, regista, produttore e montatore che, nel 2010, ha attirato l’attenzione del mondo del cinema con il thriller anticonformista “Buried – Sepolto”; film claustrofobico, prodotto con un budget modesto, accolto trionfalmente al Sundance Film Festival e poi rivelatosi campione di incassi. Il regista ha dichiarato di “Voler rendere indistinto il confine tra percezione e realtà. Questo film mi ha dato la possibilità di unire due concetti che possono apparire antitetici. E’ un film di genere con l’anima di un thriller politico. Inizia con l’idea di smascherare gli imbrogli, poi esplora i meccanismi di percezione del cervello umano”. Forse è questa smania di esplorazione dei meccanismi che porta “Red lights” un po’ fuori pista. Dopo la presentazione dei personaggi principali, una partenza appassionante e coinvolgente, il film inizia a perdere colpi e ad avvolgersi su se stesso facendo un po’ calare quell’inquietudine e quel gusto per l’attesa del colpo di scena finale (che, sinceramente, ci lascia quell’attimo dubbiosi e con un po’ di amaro in bocca). Nonostante l’autore abbia puntato in alto quando si è trattato di scegliere i protagonisti (sempre brava la Weaver; meno convincente, nonostante la sua naturale autorevolezza e carisma, il De Niro nel ruolo di sensitivo che dovrebbe incutere paura), il film sembra tentennare sul da farsi, sul dove e come andare a parare, su quale argomentazione o ideologia sostenere. A volte sembra di assistere ad una lezione universitaria per smascherare ciarlatani; altre volte dà l’idea di voler affrontare l’annoso conflitto tra fede e scienza; altre volte ancora pare voler calcare il solco del classico thriller paranormale. Fino all’inevitabile colpo di scena conclusivo (che a qualcuno solleverà il consueto interrogativo “Ma era vero o faceva il furbetto pure lui?”) che rimette in discussione tutti i buoni intendimenti della pellicola. Un film che, tutto sommato, fruendo di una confezione all’insegna del godibile, si lascia guardare; anche se, forse, si poteva azzardare qualcosa di più. Piergiorgio Ravasio

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