“Chi è ricco di amici è scarso di guai”. Uno mio carissimo, di amico, racconta sempre che suo padre gli ripeteva questa frase fin da quand’era piccolo; quasi fosse la stella polare, il comandamento guida per la vita. E non c’è dubbio che questa affermazione rappresenti una grande saggezza popolare che tiene conto della realtà del nostro Paese. Un Paese dove le relazioni, le amicizie sono fondamentali.
Al punto che la persona ricca di denaro ma povero di amici se la cava peggio di quella che ha un reddito medio ma uno stuolo di amici ai quali rivolgersi nelle varie necessità. Valga per tutti l’esempio del tanto decantato sistema sanitario veneto. Un autentico inferno, se non conosci nessuno degli addetti. Diventa invece un purgatorio accettabile se conosci la caposala, che allora in corsia ti trattano da individuo e non da numero; se conosci un medico che ti consente di aggirare il martirio delle liste d’attesa. E l’amicizia è il passepartout in tutti gli altri ambiti della realtà italiana. A cominciare dalle assunzioni che, dietro la facciata dei concorsi, passano attraverso le conoscenze. Ma l’altra, tragica, faccia della stessa medaglia è l’assenza totale dello Stato. Il cittadino non è più garantito dalle norme, dal diritto, dallo Stato di diritto; come avviene nelle democrazie autentiche dove il più burbero degli uomini è equiparato al più cordiale ed espansivo. Da noi senza amicizie sei finito. Un Paese fondato sui legami personali non può che dar vita ad un ”associazionismo” esasperato. Da quello più ligh e innocente fino a quello più hard e inquietante. Per capirci: dai cacciatori agli amici della bicicletta agli ordini professionali, via via passando per il Lios e i Rotary, le logge massoniche e l’Opus Dei, fino alle cosche e alle mafie varie. Ovviamente con responsabilità del tutto diverse, ma la logica di fondo è sempre quella: non è lo Stato che provvede a me, sono gli amici, sono le conoscenze; quindi più ne annovero più risolvo i problemi e scanso i guai. Ben sapendo che vale il do ut des… Ma il guaio vero è che anche il politico si muove in questa dimensione, deve rispondere a questa “cultura” amicale. Anche il politico deve essere un amico al quale ci rivolgiamo per ottenere favori, elargizioni, assunzioni. E, se non si comporta da amico, non lo votiamo più. Esercitiamo il ricatto del consenso. Vale, appunto, il do ut des. Il risultato è che il politico non deve governare il paese o le città o le regioni, ma deve anzitutto elargire. La conseguenza è quella che descrive oggi Galli Della Loggia sul Corriere: “A Sud delle Alpi e dei Pirenei, per ottenere successo, la democrazia è stata spinta a diventare, fin dall’inizio e sempre di più, una democrazia dei benefici, delle elargizioni, delle sovvenzioni, degli stipendi: a diventare una democrazia della spesa e quindi, alla lunga, del debito pubblico”. Quindi se da un lato la frase del padre del mio amico – “chi è ricco di amici è scarso di guai” – è certo una regola guida che per tanti anni ha consentito all’individuo di cavarsela nelle necessità quotidiane, dall’altro lato ha affossato sempre più lo Stato. E, nella dimensione storico-culturale, è forse la causa prima che sta portando alla rovina la sgangherata democrazia italiana. Mario Zwirner