L’impatto con un asteroide sarebbe la peggiore delle notizie per ogni specie terrestre. Non sembra essere lo stesso per le creature che abitano sotto la superficie del nostro pianeta, che potrebbero vedere la caduta di un corpo celeste come una benedizione. Negli ultimi anni stiamo sempre più realizzando che buona parte della biomassa della Terra non si trova alla luce del sole o nelle acque oceaniche, ma all’interno delle strutture rocciose che compongono la crosta terrestre, ottenendo nutrienti dal mondo sovrastante o tramite reazioni chimiche con ferro e zolfo. In questo mondo non esiste giorno o notte, il clima è costante e spesso proibitivo per la maggior parte delle forme viventi che conosciamo, e le uniche cose che possono sconvolgere questo microcosmo di vita sono i terremoti e gli asteroidi. L’impatto con un asteroide generalmente surriscalda la superficie colpita fino a sterilizzarla, uccidendo ogni forma di vita. Ma lo stesso meccanismo di sterilizzazione potrebbe rappresentare una vera e propria occasione propizia per i microrganismi del sottosuolo: “Gli impatti possono fratturare la roccia degli strati più profondi della superficie, cosa che consente ai fluidi e ai nutrienti di insinuarsi” spiega Charles Cockell dell’Università di Edimburgo. Cockell ed il suo team hanno osservato il sito di un antico impatto avvenuto circa 35 milioni di anni fa a Chesapeake Bay. L’asteroide, del diametro di circa un chilometro, ha lasciato come traccia del suo passaggio un cratere del diametro di 85 km, e l’effetto di questo cataclisma fu così sconvolgente che i ricercatori sostengono che la biosfera sotterranea stia ancora cercando di recuperare dall’impatto. “L’impatto scavò un buco profondo, ma il materiale attorno al perimetro è immediatamente ricaduto” dice Cockell riferendosi al fatto che, secondo i modelli formulati per descrivere l’evento, circa 30 minuti dopo l’impatto il cratere sia stato riempito dal riflusso delle acque che trasportavano miliardi di tonnellate di sedimenti rimossi da Chesapeake Bay. L’energia dell’impatto avrebbe riscaldato la roccia alla base del cratere ad oltre 350°C, uccidendo ogni forma di vita sopra e immediatamente sotto la superficie terrestre. Ma con il raffreddamento della roccia, alcuni microrganismi hanno colto l’occasione per ripopolare l’area del disastro. A partire dal 2005, una ricerca dell’International Continental Drilling Program e dello United States Geological Survey ha scavato all’interno del cratere di Chesapeake Bay per recuperare campioni di sottosuolo ad una profondità di 1,76 km. I carotaggi dimostrarono che entro 450 metri di profondità dalla superficie si trovano sedimenti più recenti rispetto alla data dell’impatto. Tra i 450 e i 1000 metri, invece, si raccoglierebbe la maggior parte di materiale spostato dal cataclisma. Oltre il chilometro di profondità, lo strato roccioso mostra evidenti segni di shock e riscaldamento. Ed è proprio in questo strato che i ricercatori hanno scoperto una straordinaria densità di microrganismi: circa un milione per grammo di materiale recuperato. “Nessuno ha mai osservato così tanti organismi a questa profondità” spiega Cockell. La densità di vita nel sottosuolo, infatti, tende generalmente a calare man mano che ci si spinge in profondità. Sembra che l’impatto dell’asteroide, tuttavia, abbia ampliato l’area in cui alcuni microrganismi sono capaci di diffondersi, creando fessure e fratture in cui si sono insinuati l’acqua e i nutrienti che hanno reso più “vivibile” quello strato di crosta terrestre. “Dovremmo cambiare la nostra visione degli impatti di asteroidi” spiega Stephen Mojzsis della University of Colorado. “Non dovremmo vederli soltanto come eventi distruttivi. Sono meccanismi naturali per l’apertura di nicchie ecologiche per la comunità microscopica. Questa ricerca potrebbe guidarci nella scelta di un sito di scavo per una futura missione su Marte”. I crateri da impatto su altri pianeti potrebbero quindi rappresentare località ideali per la ricerca di forme di vita. Se, sulla Terra, la distruzione portata da bolidi celesti ha contribuito alla creazione di nuove nicchie ecologiche, lo stesso potrebbe essere successo su corpi rocciosi più o meno lontani.