Vuoi essere avvisato in anticipo dell’organizzazione di eventi, manifestazioni, rassegne, anteprime cinematografiche e film in programma nella tua zona? Manda un email a: piergiorgio.ravasio@email.it Al cinema da venerdì 10 Febbraio 2012 Di pellicole che hanno narrato di travestimenti maschili o femminili, di storie di lotta per ritrovare il proprio io e per realizzare i propri scopi affrontando tematiche come la vita interiore, i problemi di identità, l’annullamento di se stessi e della doppia vita, ce ne sono state parecchie nel corso degli anni (pensiamo anche solo al recente “Tomboy” dove una ragazzina riesce ad essere felicemente se stessa semplicemente nel gioco al travestimento di un ragazzo mancato). Esattamente come in quel film, anche qui troviamo una donna che vive nella Dublino del XIX secolo e che, per riuscire a sopravvivere, decide di travestirsi da uomo per ottenere un buon lavoro presso un noto albergo della sua città: il Morrison’s Hotel. Il ruolo di Albert Nobbs è nelle mani di Glenn Close che, nel corso della sua brillante carriera, ha inanellato titoli di successo come “Il grande freddo”, “Il campione”, “Attrazione fatale” e “Le relazioni pericolose”. Qui c’è anche da aggiungere un dettaglio in più: un forte legame, quello con il personaggio da lei rivestito, che risale a circa 30 anni fa; ai tempi in cui indossò gli stessi abiti (a teatro) nella medesima rappresentazione teatrale scritta da un autore irlandese del XIX secolo (George Moore). Albert viene al mondo come figlia illegittima, cresciuta presso una donna pagata affinché non le riveli il suo vero nome e la tenga lontano dalla sua famiglia d’origine che non vuole avere nulla a che fare con lei. Con una nazione come l’Irlanda, molto povera e dalla miseria visibile ad ogni angolo della strada, con l’ansia di finire in un ospizio e con il terrore di ritrovarsi per la strada, all’età di 14 anni inizia a lavorare nell’albergo sotto mentite spoglie, non avendo altri strumenti per affrontare la vita. Maggiordomo tranquillo e riservato da talmente tanto tempo da avere perso la propria identità nonché donna ingenua e sola, nascosta dal mondo per anni interi, Albert ci racconterà la sua storia semplice ma che tocca temi importanti, esperienze di vita universale. Sogni, desideri, ambizioni e speranze intrappolati in un’esistenza soffocante, costretto ad indossare maschere metaforiche e ad occultare la propria identità per compiacere gli altri. Il film del regista Rodrigo García (“Passengers – Mistero ad alta quota” e la serie TV “I Soprano”), che ha anche ricevuto 3 nomination ai Golden Globes, grazie alla sua disarmante semplicità, è molto potente da un punto di vista emotivo. Con una storia ben concepita e che si snoda in modo lineare, sorprendendo fino all’ultimo minuto, riesce anche a farci sorridere. E questo nonostante il tema sia triste e tragico, a dimostrazione di come non sia necessario ricorrere ad un’atmosfera tetra e cupa per raccontare un dramma. Umorismo che non balza agli occhi con evidenza, ma che nasce dai vari personaggi, dalle sfumature e dalle situazioni. Vicenda condita anche da altrettanti personaggi coloriti che gravitano attorno all’hotel, ognuno perfetto nel proprio ruolo: la giovane cameriera Helen (Mia Wasikowska) con cui Albert condivide il sogno di aprire un’attività in proprio; Joe (Aaron Johnson), il fidanzato di quest’ultima, dall’infanzia difficile, addetto alle caldaie e che incoraggia la ragazza ad accettare la corte di Albert per farsi regalare cioccolato, whisky e soldi; l’intelligente e brillante poligamo Dottor Holloran (Brendan Gleeson) che si ritroverà da solo rischiando di morire alcolizzato. Un cast indovinato per un tipo di cinema fuori dai canoni convenzionali, al di sopra del quale campeggia l’eloquente locandina che ne riassume il senso più profondo: “Il sogno più straordinario è vivere una vita ordinaria”.