La cocaina e l’alcol, la droga e i rituali, i totem che non sono mai scalfiti dalle conseguenze, dai dazi che verranno pagati, perché i conti prima o poi richiedono di essere saldati. Ragazzi griffati e giovani con firme di rincalzo, stanno in piedi a guardare il mondo che passa, e improvvisamente franano sul pavimento per non essersi accorti di quanto è andato perduto. Forse la violenza non è davvero connessa con l’uso delle sostanze, forse le droghe non sono ree confesse delle disperazioni che costruiscono, forse l’uso e abuso delle sostanze è un problema di seconda fascia. Ci vuole più coerenza e coraggio per ripudiare i troppi “forse” spalmati sul terreno come trappole mortali, quando si tratta di giovanissimi, di uomini, di persone, destinate a diventare drammaticamente delle “cose”. Stiamo parlando di una società del diritto alla vita, basata sulla legalità e sulla sua democratica accettazione delle regole, ma nonostante questo invito al rispetto di se stessi e degli altri, c’è un rumore persistente in sottofondo, che induce a portare avanti le tesi che vorrebbero le droghe sugli scaffali del supermercato, o ben risposte nelle tasche di chi non ha capacità di scelta, anche di chi scelte non ha mai avuto. Sarebbe sufficiente riprendere in mano poche ma chiare regole, una su tutte, e cioè che la libertà non vende in piazza la propria mercanzia, ma fa della giustizia uno stile di vita che non abbisogna di eccessi, nè timori riverenziali per chicchessia. Città grandi e piccole, paesi e periferie, hanno in casa quesiti complessi, che investono i più giovani, i quali non posseggono la misura che intercorre tra i diritti e i doveri, tra un sogno da rincorrere e una speranza che non abbandonerà mai gli uomini che diventeranno. Quando i ragazzi stanno piantati al vicolo cieco, è inizio di una sofferenza, il frutto di una comoda cecità del cuore, degli occhi, una irresponsabilità a non volere sapere e vedere il mondo interiore di chi si ostina a mantenere le scarpe slacciate, ma anche di chi non fa nulla per prendere in mano la situazione. Cocaina e affanno che avanza con le sembianze di una stanchezza di vivere, ma nutrire questa sensazione a meno di vent’anni non è solamente una bestemmia indicibile, è di più, una resa che ha domicilio ben preciso, seppure forte è il tentativo di mimetizzarsi, di inabissarsi nei tanti problemi che ognuno ha e porta nella propria casa, eppure la responsabilità non è mai una giustificazione, una attenuante, una assoluzione scontata. Studi e ricerche vorrebbero significare che droga e violenza non è binomio inscindibile, le due dimensioni del dis-valore non sono compagni di viaggio, eppure dall’incontro e dalla cerimonia di iniziazione cui spesso i giovani sono soggetti, accade che lo spazio conquistato divenga un ring, un’arena dove sfogare frustrazioni e regole inventate, decalogo non disponibile ad accettare titubanze o insubordinazioni. Ai vuoti familiari, alle assenze di dialogo, alle incapacità del parlare e farsi comprendere, fanno supplenza gli atteggiamenti della forza che fa prepotenza, perfino il mito della bellezza non riesce più a coprire gli ammanchi esistenziali. Ora e non domani è il momento per tentare di fare nascere uno stare insieme diverso, in cui si parla e non si grida, in cui si ascolta e non si sparano sempre più grosse per fare rumore, e qualche volta si pensa al bene da fare attraverso il proprio comportamento.