La ricostruzione
A Laviano, paese in cui i morti per il sisma furono un quinto della popolazione (303 deceduti su circa 1500 abitanti), le prime case in legno (una ventina) con servizi compresi arrivarono già nel febbraio 1981. Il 25 aprile 1981, a 122 giorni dal terremoto, gli alloggi in legno tipo chalet realizzati dal gruppo Rubner – che si insediò nel 1990 in Irpinia con uno stabilimento di produzione a Calitri – diventarono 150, per un totale di 450 persone ricoverate. La ricostruzione fu, però, anche uno dei peggiori esempi di speculazione su di una tragedia. Infatti, come testimonia tutta una serie di inchieste della magistratura, per le quali sono state coniate espressioni come Irpiniagate, Terremotopoli o il terremoto infinito, durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che dirottarono i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 339 paesi in un primo momento, che diventarono 643 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia quasi l’8,4% del totale dei comuni italiani. Più di settanta centri furono integralmente distrutti o seriamente danneggiati e oltre duecento ebbero consistenti danni al patrimonio edilizio. Centinaia di opifici produttivi e artigianali furono cancellati con perdita di migliaia di posti di lavoro e danni patrimoniali per decine di migliaia di miliardi di lire.
Il numero dei comuni colpiti, però, fu alterato per losche manovre politiche e camorristiche lievitando nel corso degli anni. Alle aree colpite, infatti, venivano destinati numerosi contributi pubblici (stime del 2000 parlano di 5.640 miliardi nel corso degli anni), ed era interesse dei politici locali far sì che i territori amministrati venissero inclusi in quest’area. La ricostruzione, nonostante l’ingente quantità di denaro pubblico versato, fu per decenni incompleta. A Torre Annunziata attualmente esistono due quartieri, Penniniello e il Quadrilatero delle Carceri, distrutti dal terremoto del 1980, ma malgrado le ingenti somme di denaro che si sono continuate a stanziare – 10 milioni di euro per il primo nel 2007, 1,5 milioni di euro per il secondo nel 2009 – ancora non è stata completata la loro ricostruzione. Questi quartieri oggi sono diventati la principale roccaforte della camorra (il Quadrilatero delle Carceri è ancora oggi il quartier generale del clan Gionta) ed una delle più agguerrite piazze di spaccio della regione Campania.
I contributi per il rilancio economico
Sul modello del terremoto del Friuli, la ricostruzione anche in Irpinia venne incentrata sul rilancio industriale. Nonostante il territorio non presentasse caratteristiche industriali già da prima del sisma, la pioggia di contributi costituì una tentazione irrefrenabile per molti. Il meccanismo di captazione dei fondi pubblici prevedeva la costituzione di imprese che fallivano non appena venivano intascati i contributi. I finanziamenti arrivarono talmente concentrati da non riuscire ad essere spesi. In sette anni, ventisei banche cooperative aprirono gli sportelli nella zona terremotata (nove nella sola provincia di Avellino), arrivando a fare prestiti alle imprese del Nord Italia. Per rilanciare venti zone industriali tra Campania e Basilicata vennero stanziati 7.762 miliardi di lire (circa 8 miliardi di € del 2010). Il costo finale fu dodici volte superiore al previsto in provincia di Avellino e diciassette volte in provincia di Salerno. Secondo la relazione finale della Corte dei Conti, i costi per le infrastrutture crebbero fino a punte «di circa 27 volte rispetto a quelli previsti nelle convenzioni originarie». Il 48,5% delle concessioni industriali (146 casi) venne revocato. La Corte dei Conti accusa «la superficialità degli accertamenti e l’assenza di idonee verifiche», approvate senza «adeguatamente ponderare situazioni imprenditoriali già fragili e già originariamente minate per scarsa professionalità o nelle quali la sopravvalutazione dell’investimento, in relazione alle capacità imprenditoriali, ha portato al fallimento dell’iniziativa». Nel 2000, 76 aziende risultavano già fallite, ma solo una piccola parte dei contributi (il 21% nella provincia di Salerno) era stato recuperate.
Il dopo-sisma
« L’uso di 50-60mila miliardi stanziati per l’Irpinia rimase un porto nelle nebbie […] quel terremoto non aveva trasformato solo una regione d’Italia, ma addirittura una classe politica »
(Indro Montanelli in Le stanze, BUR, 2004)
La prima stima dei danni del terremoto, che venne fatta nel 1981 dall’ufficio dello Stato (organo speciale atto a coordinare le operazioni di calcolo dei danni per conto della presidenza del Consiglio), parlava di circa 8.000 miliardi di lire. La stessa cifra è cresciuta in maniera esponenziale, fino a superare quota 60.000 miliardi di lire nel 2000, e 32 miliardi di euro nel 2008.Attualizzandola al 2010, secondo Sergio Rizzo la stima supererebbe i 66 miliardi di euro.
La Commissione Scalfaro
La legge 7 aprile 1989, n. 128, istituì la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 della Campania e della Basilicata, alla cui Presidenza viene eletto Oscar Luigi Scalfaro: è un organismo bicamerale con gli stessi poteri della magistratura, costituito da venti deputati e altrettanti senatori con il compito di accertare quanto realmente lo Stato avesse speso, sino a quel momento, per la ricostruzione delle aree terremotate. Nella relazione conclusiva presentata in Parlamento il 5 febbraio 1991, la somma totale dei fondi stanziati dal Governo italiano raggiungerà la cifra di 50.620 miliardi di lire, così suddivisi: 4.684 per affrontare i giorni dell’emergenza; 18.000 per la ricostruzione dell’edilizia privata e pubblica; 2.043 per gli interventi di competenza regionale; 8.000 per la ricostruzione degli stabilimenti produttivi e per lo sviluppo industriale; 15.000 per il programma abitativo del comune di Napoli, e le relative infrastrutture; 2.500 per le attività delle amministrazioni
Le inchieste successive
Circa l’inchiesta del filone Mani Pulite denominata Mani sul terremoto, di cui scrive Panorama nel 1992, Daniele Martini racconta: «in Irpinia la Guardia di Finanza scoprì fienili trasformati in piscine olimpiche mai ultimate, o in ville. Individuò finanziamenti indirizzati a imprenditori plurifalliti e orologi con brillanti regalati con grande prodigalità ai collaudatori dello Stato». Nel marzo del 1987 alcuni giornali, tra cui l’Unità e L’Espresso, rivelarono che le fortune della Banca Popolare dell’Irpinia erano strettamente legate ai fondi per la ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia del 1980. Tra i soci che traevano profitto dalla situazione c’era la famiglia di De Mita con Ciriaco proprietario di un cospicuo pacchetto di azioni che si erano rivalutate grazie al terremoto. I titoli erano posseduti anche da altri parenti. Seguì un lungo processo che si concluse nell’ottobre del 1988 con la sentenza: «Secondo i giudici del tribunale romano chiamato a giudicare sulla controversia, era giusto scrivere che i fondi del terremoto transitavano nella banca di Avellino e che la Popolare è una banca della Dc demitiana». Appresa la sentenza, l’Unità pubblicò il 3 dicembre un articolo in prima pagina dal titolo eloquente: «De Mita si è arricchito con il terremoto». Nell’inchiesta Mani sul terremoto saranno coinvolte 87 persone tra cui Ciriaco de Mita, Paolo Cirino Pomicino, Salverino De Vito, Vincenzo Scotti, Antonio Gava, Antonio Fantini, Francesco De Lorenzo, Giulio Di Donato e il commissario Giuseppe Zamberletti. Sul coinvolgimento di politici e di vari amministratori si sono levate numerose denunce e promosse alcune inchieste che hanno portato a diversi arresti.
•Contributi pubblici dello Stato italiano, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta (prima dell’approvazione della legge finanziaria 1991): 50.902 miliardi di lire (circa 26 miliardi di €).
Contributi pubblici dello Stato italiano, all’anno 2008: 32.363.593.779 €, attualizzabili a circa 66 miliardi di € al valore del 2010.
•La finanziaria 2007 prevede un contributo quindi
cennale di 3,5 milioni di € per la ricostruzione.
•In Italia è ancora oggi in vigore un’accisa di 75 lire (4 centesimi di €) su ogni litro di carburante acquistato, imposta dallo Stato per il finanziamento della ricostruzione dei territori colpiti dal sisma.
FINE
Fonte: Wikipedia